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Mutilazioni genitali

femminili 


Test culturale

1. La categoria “cultura” (o religione) è utilizzabile?
​Sì, la categoria cultura è utilizzabile in quanto la pratica viene eseguita all’interno di determinati gruppi dai quali è condivisa, trasmessa intergenerazionalmente e riveste particolari significati simbolici e sociali. Non è, invece, utilizzabile la categoria religione. 
2. Descrizione della pratica culturale (o religiosa) e del gruppo.
Le mutilazioni genitali femminili (MGF) comprendono tutte quelle procedure che comportano l'asportazione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni agli organi genitali femminili per motivi non medici. Rientrano in quelle pratiche conosciute in campo antropologico come marchi/segni corporali che tendono a modificare lo stato naturale del corpo umano secondo determinate regole stabilite da ogni società. Le origini della pratica non sono chiare: si ipotizza la presenza di alcune forme già nell’antico Egitto e nell’antica Roma. 
Secondo una dichiarazione congiunta di OMS, Unicef e UNFPA, ci sono quattro tipi di categorie, tutte classificabili come MGF:
  • Tipo I: Escissione del prepuzio, con o senza asportazione parziale o totale della clitoride. 
  • Tipo II: Escissione della clitoride con asportazione parziale o totale delle piccole labbra. 
  • Tipo III: Restringimento dell'orifizio vaginale con creazione di un sigillo di copertura mediante taglio e apposizione delle labbra minori e/o maggiori, con o senza escissione della clitoride (infibulazione). 
  • Tipo IV: Non classificati. Include perforazione, penetrazione o incisione della clitoride e/o labbra, stiramento della clitoride o del tessuto circostante, raschiamento del tessuto circostante l’orifizio vaginale o incisione della vagina. 
Tali interventi vengono, in genere, praticati da donne, delle operatrici rituali, su bambine, ragazze e donne al di fuori di un contesto ospedaliero.
La terminologia “mutilazioni genitali femminili” - usata in questo Vademecum perché è quella adottata in ambito giudiziale e legislativo - è fortemente criticata da diversi studiosi e dalle stesse donne sottoposte alle pratiche, in quanto portatrice di giudizi etnocentrici e vittimizzanti. Sono, infatti, stati proposti dei termini alternativi ritenuti meno giudicanti (v. infra approfondimenti antropologici).
Si stima che circa 200 milioni di donne di varie età siano state sottoposte a queste pratiche, nella maggioranza degli Stati africani, in alcuni paesi asiatici e del Medio Oriente. Le MGF vengono, infatti, praticate da diversi gruppi etnici e religiosi, inclusi Musulmani, Cristiani, Ebrei (Ebrei Etiopi) e religioni “tradizionali” africane, e sono generalmente effettuate su bambine di età compresa tra 0 e 15 anni, nonostante vi siano anche casi di donne già adulte. L'età in cui vengono eseguite le MGF varia, infatti, a seconda delle tradizioni e delle circostanze locali. Così come l’età, anche il tipo di pratica effettuata varia molto: secondo le stime attuali circa il 90% dei casi comprende i tipi I, II o IV, e circa il 10% il tipo III (soprattutto nella regione nord-orientale dell'Africa: Gibuti, Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan).
In ogni gruppo in cui viene praticata non vi è necessariamente una spiegazione univoca e/o fissa del motivo alla base di questa scelta. L’obbiettivo non è ledere l’organo sessuale femminile di per sé: in alcuni casi viene considerato un rito di passaggio, ovvero come riti che accompagnano modificazioni di ruolo o di posizione sociale, sancendo quindi una transizione da uno status a un altro. In altri casi si tratta di questioni estetiche o legate ad un concetto di moralità relativo alla sfera sessuale della donna. La pratica è spesso associata ad una funzione di gendering, volta a definire simbolicamente l’identità di genere, marcando la differenza tra genere maschile e femminile. Può anche essere intesa come modo per definire l’appartenenza etnica o per rinforzare preferenze estetiche, presentando una forte valenza identitaria e simbolica di un’aggregazione sociale. 
 
3. Inserire la singola pratica nel più ampio sistema culturale (o religioso).
Le MGF sono intese come delle vere e proprie investiture, che sanciscono una differenza sociale, un’appartenenza e solidarietà femminile, e sottolineano quindi l’importanza di significati sociali e apparati simbolici.
Pratiche come l’escissione e l’infibulazione sono spesso legate ad una percezione del genere e della sessualità femminile subordinata a quella maschile, indicando un approccio gerarchico delle relazioni tra i generi e un ruolo chiaramente definito di donna e di madre. Tale pratica è infatti giustificata come propedeutica rispetto al matrimonio, in quanto preparerebbe la donna al proprio nuovo ruolo in relazione al genere maschile, e viene simbolicamente associata alla fecondità. Da un lato “completa” simbolicamente la donna, dall’altro solo una donna “completa” risulta pronta per il matrimonio e per procreare. L’escissione consente quindi alla donna di contrarre il matrimonio nel pieno rispetto delle regole socialmente stabilite.
In alcuni contesti si sottolineano il prestigio e l’importanza della donna “chiusa”, rispetto a quelle “aperte”, con l’associazione ad un controllo della soggettività e della sessualità femminile e la preservazione della sua verginità e castità. 
In alcuni paesi, tale pratica si traduce in una valutazione “economica” della ragazza in questione, attraverso il cosiddetto “prezzo della sposa” (si veda la voce “Prezzo della sposa” in questo Vademecum) con cui il gruppo parentale dello sposo trasferisce beni al gruppo della sposa, al momento del matrimonio, come forma di risarcimento per la perdita della donna. 
 
4. La pratica è essenziale (alla sopravvivenza del gruppo), obbligatoria o facoltativa?
Dipende dal contesto in cui è praticata. Nella maggioranza dei casi viene considerata obbligatoria sia da un punto di vista personale che comunitario. Non essere sottoposte a MGF potrebbe portare all’esclusione sociale e alla perdita di status. In alcuni contesti (es. urbanizzazione), la pressione sociale del gruppo potrebbe affievolirsi e portare ad una obbligatorietà inferiore, in cui la famiglia recupera un ruolo e può optare se sottoporre la figlia alla pratica o meno. 
5. La pratica è condivisa dal gruppo o è contestata?
La pratica delle MGF è generalmente condivisa dal gruppo di appartenenza, con una trasmissione intergenerazionale.
Sono sempre più diffuse, tuttavia, sia nei paesi dove le MGF vengono praticate, che nei paesi di immigrazione, associazioni di donne che si oppongono a questo tipo di interventi, lavorando attivamente per eliminarli e proporre altri modelli e valori. Già a partire dagli anni ‘90, diverse organizzazioni non governative e associazioni locali africane stanno portando avanti alcuni progetti di formazione volti alla "riconversione” delle operatrici rituali, con l’obbiettivo di tentare di riqualificare professionalmente le operatrici in modo che possano guadagnarsi un salario in altri modi, senza ledere la salute psico-fisica delle ragazze. In alcuni casi si incoraggia a simulare gestualmente il rituale (ad esempio in Guinea questa alternativa simulata ha portato ad una riduzione della pratica di circa il 20%), mentre in altri casi si sponsorizzano piccole attività imprenditoriali alternative, attraverso alcuni prestiti molto convenienti. 
Alcune associazioni femminili locali in diversi paesi africani si occupano di campagne di sensibilizzazione e di educazione, facendo leva sulla partecipazione locale, coinvolgendo spesso i parenti delle ragazze. Ad esempio, in Senegal, grazie ad un programma di educazione e informazione in zone rurali, più di 200.000 persone hanno deciso di abbandonare la pratica (PRB 2002). 
Inoltre, in molti paesi del continente africano questo tipo di pratiche è ufficialmente vietato (ad es. in Repubblica Centrafricana, Djibouti, Egitto, Ghana, Senegal, Somalia, Kenya) sebbene poi nella realtà l’applicazione di queste leggi non è di fatto garantita, creando un conflitto tra diritto ufficiale e consuetudinario. 
 
6. Come si comporterebbe la persona media appartenente a quella cultura (o religione)?
La persona media sottoporrebbe la figlia/si sottoporrebbe alla pratica. 
7. Il soggetto è sincero?

In ambito penale, l’accertamento della sincera adesione del soggetto alla pratica è volta a evidenziare la mancanza di una volontà lesiva nei confronti del minore, proprio come accade nella circoncisione maschile (vedi voce Circoncisione maschile, in questo Vademecum): i genitori che sottopongono le proprie figlie a queste pratiche agiscono spesso nella convinzione di garantire ad esse un determinato status sociale, la certezza di essere accolte nella comunità di appartenenza e non essere ritenute “diverse”.
La carenza di volontà lesiva può essere individuata in base ad alcuni elementi:
 
  • il valore della MGF nel sistema culturale o religioso di appartenenza: significato, funzione, percezione della pratica agli occhi dell’agente;
  • le modalità di esecuzione utilizzate (intervento effettuato in ambiente sanitario, domestico, rituale di gruppo);
  • eventualmente, i motivi che hanno condotto a effettuare l’intervento in condizioni di scarsa sicurezza: condizioni sociali ed economiche dei soggetti coinvolti; la sussistenza o meno, nel luogo in cui il fatto si verifica, di un sistema di partecipazione alla spesa per l’operazione (anche in stati diversi dall’Italia vista la clausola di extraterritorialità contenuta nella norma che sanziona le MGF);
  • la buona fede del genitore e la sua convinzione di essersi affidato a un soggetto dotato di competenza in materia, anche se non medico, perché magari riconosciuto come tale all’interno comunità di appartenenza (es. le operatrici rituali).
 
In tema di protezione internazionale, se le MGF sono già state subite sono riscontrabili tramite osservazione clinica. Quando invece il soggetto teme di subirle, all’accertamento della sincerità circa tale timore può contribuire:
  • l’individuazione dello Stato e della comunità di provenienza;
  • come evidenziato da alcuna giurisprudenza, l’analisi approfondita della diffusione della pratica nel contesto sociale di provenienza, non essendo sufficiente il solo dato formale, ossia che le pratiche risultino vietate dalla legge in quello Stato e/o che risultino obbligatorie o facoltative dal punto di vista culturale o religioso, ma dovendosi piuttosto indagare sulla diffusione reale delle stesse, sulla sussistenza di un “condizionamento sociale” al loro uso, sul grado di emarginazione degli individui che vi si oppongano; 
  • l’attuazione di un approccio “di genere” alla problematica: accade che le richiedenti non evidenzino tempestivamente di essere vittime di MGF perché non sanno che si tratta di una pratica non diffusa tra tutte le donne; altre volte, omettono di parlarne per vergogna, per pudore o perché esse rappresentano degli eventi traumatici della propria esistenza.
 
8. La ricerca dell’equivalente culturale. La traduzione della pratica della minoranza in una corrispondente pratica della maggioranza (italiana). ​
Si può trovare un equivalente culturale nella chirurgia estetica intima dei genitali femminili. Tra i vari tipi di interventi chirurgici si segnalano: l’imenoplastica, ossia l’intervento di riparazione dell’imene, oggi più conosciuto con il termine inglese di rivirgination; la vaginoplastica, ossia il restringimento dei muscoli della vagina per “ringiovanirla”; il clitoral repositioning o clitoral lifting, cioè un’escissione parziale della clitoride per “proporzionarla”. Tutti questi interventi di tipo estetico sono volti all’adeguamento di una presunta immagine della donna e del corpo femminile che, così come nel caso delle MGF, si dovrebbe conformare ad un immaginario socioculturale. La corporeità femminile deve infatti mostrarsi apparentemente giovane. 
Latu sensu anche gli altri interventi su zone erogene del corpo quali chirurgia plastica per aumentare il seno o i glutei sono equivalenti culturali che corrispondono a logiche estetiche e riproduttive simili. 
9. La pratica arreca un danno? ​
Le MGF si configurano oggettivamente come alterazioni dell’integrità fisica della donna. Le conseguenze di queste alterazioni presentano gradi di lesività e di pericolosità molto differenti a seconda delle tipologie messe in atto. Nei casi più gravi, come quelli dell’infibulazione e dell’escissione, i danni all’integrità fisica possono essere elevati e anche determinare la morte. I rischi sono comuni sia durante l’intervento - per complicanze ricollegate alle modalità di esecuzione degli interventi, realizzati per lo più in ambienti non idonei dal punto di vista della asepsi e dell’igiene - sia successivamente ad esso, soprattutto in occasione di eventuali gravidanze.
Questo grado di lesività non è però riscontrabile in forme molto meno invasive di interventi, che consistono spesso in piccole incisioni (come l’arué presso gli Edo Bini). Anche in questo secondo caso possono verificarsi complicanze, ma è raro che vi sia un pericolo per la vita della minore. In generale non è provato che questa tipologia di intervento determini una diminuzione permanente delle funzioni degli organi interessati. 
Le forme più gravi e invasive di MGF sono suscettibili di determinare importanti danni fisici che non solo condizionano la vita sessuale della donna, ma mettono a rischio la sua salute in generale. Le conseguenze degli interventi possono infatti protrarsi nel tempo, aggravarsi in occasione di gravidanze, e ancora, determinare o facilitare altre patologie infettive. In questo caso i danni sono anche psichici, soprattutto se si tratta di interventi avvenuti in età adolescenziale, come nella maggior parte dei casi.
È ovvio che nella commisurazione del danno psichico assume una importanza fondamentale la volontà della donna di sottoporsi a quella pratica. È probabile che se la donna crede nel valore e nel significato di quella pratica sviluppi una rielaborazione meno traumatica rispetto a quella subita da chi invece mostra forme di rimostranza rispetto alla pratica e la percepisce come una costrizione. Il danno psichico può essere determinato anche dal timore di poter rivivere la stessa esperienza traumatica e dolorosa in futuro o di doverla farla subire a un qualche familiare. 
​10. Che impatto ha la pratica della minoranza sulla cultura, valori costituzionali, diritti della maggioranza (italiana)?
Le pratiche analizzate sono percepite molto negativamente nella cultura di maggioranza. Il termine “mutilazione”, utilizzato nel dibattito giuridico per descriverle, rileva di per sé la loro caratterizzazione da parte della società maggioritaria. Il termine fortemente evocativo e generalizzato è di ostacolo al far emergere la distinzione tra i vari tipi di MGF sul piano della lesività.
Le MGF sono quasi sempre individuate nelle forme più gravi dell’infibulazione e dell’escissione. Evocano pertanto forme di controllo sulla vita e sulla sessualità della donna, cruente e sessiste.
 
Le MGF più gravi si scontrano con i valori dell’integrità fisica e psichica degli individui, della vita, con la libertà ed eguaglianza di genere e con la libertà personale. Appaiono infatti come uno strumento di controllo sociale sull’autodeterminazione delle donne, sulla libertà di gestione del proprio corpo e della propria vita sessuale.
La pratica assume rilevanza penale, per questo è coinvolta nel dibattito anche la libertà religiosa e culturale e il suo rapporto con altri beni giuridici fondamentali. 
Poiché anche in questo caso, in ambito civile, si intercetta il tema della protezione internazionale e dell’asilo, la tematica chiama in gioco anche altri valori: quello dell’accoglienza di individui sottoposti a persecuzione e trattamenti inumani; quelli della sicurezza e dell’ordine pubblico, che sfociano nella necessità di tenere sotto controllo le procedure di protezione. 
 
Per una parte della giurisprudenza, che si muove in ossequio alla disciplina di diritto internazionale, le MGF sono vere e proprie forme di persecuzione basate sul genere e pertanto sono in grado di attivare forme di protezione avanzata come quella sussidiaria, concessa per il pericolo di trattamenti inumani e degradanti o addirittura lo status di rifugiato. I diritti che si assumono violati sono: diritto alla vita, diritto all’integrità fisica, diritto alla salute, diritto alla libertà personale e alla autodeterminazione sessuale.
Agli occhi della Corte Edu le MGF integrano forme di tortura ai sensi dell’art. 3 e ledono anche il diritto alla vita privata e familiare sancito dall’art. 8 della Convenzione.
Si è spesso ravvisata una lesione di diritti anche di soggetti che pur non essendo direttamente interessati dalle MGF, perché di sesso maschile, si siano opposti alla pratica delle stesse sulle proprie figlie o nipoti. In questo caso, si assume violato il diritto di costoro a difendere le proprie figlie/ nipoti da trattamenti inumani e degradanti nonché quello della libertà di pensiero.
 
In ambito penale la pratica delle MGF risulta ad oggi essere espressamente vietata dall’art. 583 bis c.p. (Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili), fattispecie introdotta con la legge n. 7 del 2006, posta a tutela dell’integrità fisica e della salute della donna. La norma ha una valenza extraterritoriale (è infatti applicabile anche quando il fatto sia commesso da e/o nei confronti di un cittadino italiano all’estero o straniero residente in Italia) e punisce con una pena più grave le forme di mutilazione più invasive quali la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione (e “qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo”), con una pena meno grave altre forme di interventi non rientranti nelle precedenti tipologie, con la precisazione che in questo secondo caso l’operazione deve essere posta in essere al fine di “menomare le funzioni sessuali” e da esse deve derivarne una malattia nel corpo e nella mente. Quando il fatto è commesso a danno di minori la pena è aumentata, comporta la perdita della responsabilità genitoriale e l’interdizione dagli uffici inerenti alla tutela, curatela e amministrazione di sostegno. L’integrità fisica e la salute delle donne ricevevano protezione rispetto a tali pratiche anche prima dell’introduzione di questa fattispecie specifica, grazie ai reati in materia di lesioni (artt. 582 e 583 del c.p.). L’introduzione della norma ha una valenza simbolica che vuole evidenziare la posizione dello Stato nei confronti di tali pratiche e che ricalca in parte gli atteggiamenti tenuti da altri ordinamenti europei, in coerenza con gli assunti del diritto internazionale in tema di MGF. Alcuni studiosi hanno però ritenuto la legge n. 7/2006 uno strumento incompleto in quanto alla criminalizzazione, addirittura estesa oltre i confini italiani, non ha fatto seguito una previsione che garantisse alle vittime di tali pratiche strumenti più effettivi di tutela come quelli offerti dalla concessione degli status di protezione internazionale.
11. La pratica perpetua il patriarcato?
Attraverso le forme più gravi di MGF si mina alla qualità della vita della donna, che diviene di gran lunga inferiore rispetto a quella degli individui di sesso maschile, date le complicanze che sul piano della salute le prime possono subire sia in relazione al momento in cui l’intervento ha luogo, sia successivamente. Lo stesso discorso però non è valido quando gli interventi non hanno caratteristiche di tale lesività e magari rivestono per lo più una funzione simbolica e di appartenenza a un gruppo.
Ci sono vari elementi che possono incidere sulla capacità delle pratiche di perpetuare il patriarcato: la tipologia di intervento e la sua incisività sulla qualità della salute e in generale della vita della donna; la funzione per cui esse sono poste in essere; la percezione della pratica da parte della donna che la subisce e la sua adesione alla stessa.
Nei casi in cui è la donna stessa a non ritenere più quella pratica rispondente ai valori della propria esistenza, soprattutto dinnanzi a forme di controllo sociale e morale, la pratica è sintomatica di un sistema patriarcale, che molto probabilmente è contestato. Lo stesso discorso non può farsi però per quelle forme di mutilazioni, che pur essendo nominate come tali hanno un’incidenza minima e sono a volte motivo di orgoglio da parte della donna stessa. La pratica è sintomatica di un sistema patriarcale ed è in grado di perpetuarlo soprattutto quando assume le citate funzioni di controllo della soggettività e sessualità femminile, attraverso la realizzazione di alcune limitazioni fisiche volte a imporre una moralità al genere femminile e non anche a quello maschile.
 
12. Che buone ragioni presenta la minoranza per continuare la pratica? Il criterio della scelta di vita ugualmente valida.
I gruppi che vogliono continuare la pratica si appellano alle funzioni che questa assolve, nei diversi contesti, e che vengono qui riportate. Emerge che le pratiche possono:
 
  • avere funzione di modifica di ruolo o di posizione sociale 
  • essere legate a questioni estetiche 
  • essere legate ad un concetto di moralità relativo alla sfera sessuale della donna 
  • essere associate ad una funzione di gendering, volta a definire simbolicamente l’identità di genere 
  • definire l’appartenenza etnica e avere una funzione identitaria
  • avere una funzione di purificazione 
  • avere una funzione sociale legate ad una definizione gerarchica tra i generi, oltre ad una funzione propedeutica al matrimonio e alla procreazione.

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