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Matrimoni con/tra

​infraquattordicenni

Test culturale

1. La categoria “cultura” (o religione) è utilizzabile?
Sì. In alcuni gruppi sociali il matrimonio con/tra infraquattordicenni è considerato un’usanza importante, un fattore distintivo che conferisce un forte senso di identità alla comunità. Esso è visto come una protezione dall’“alterità” culturale per le nuove generazioni, un modo per insegnare ai figli quali sono i “buoni comportamenti” e per attribuire loro un ruolo all'interno della comunità.
2. Descrizione della pratica culturale (o religiosa) e del gruppo.
Il matrimonio con/tra infraquattordicenni è un’unione, che può essere formale o informale, contratta da un minore o da due minori, ed è spesso individuabile come un accordo tra due famiglie che decidono di creare un legame vincolante fra di loro e fra i propri figli.
I matrimoni con/tra infraquattordicenni si verificano in diversi luoghi dei cinque continenti, soprattutto in contesti del Niger, Chad, Mali e Bangladesh, ma anche in Europa fra i rom. Nella maggior parte dei casi, un solo componente della coppia è minorenne, di solito la donna, e questo spesso è dovuto al più breve periodo di vita riproduttiva rispetto a quella degli uomini.
Spesso, il matrimonio con/tra infraquattordicenni si presenta come una tradizione forte, una pratica culturale preziosa, in quanto è un fattore determinante per la costruzione dell’identità personale e sociale, e per il raggiungimento di uno status riconosciuto. Inoltre, è frequentemente considerato un mezzo di protezione delle giovani ragazze che, in alcuni contesti, sono soggette ad abusi o a rapimenti, e che con il matrimonio ottengono una protezione da parte del marito e della sua famiglia. Si tratta, perciò, di una pratica molto diversa dalla “vendita delle figlie”, e da non confondere con essa.
La pratica del matrimonio giovanile e la sua regolamentazione variano da contesto a contesto. In Transilvania, per esempio, il matrimonio fra giovani non ha alcuna validità legale in quanto è vietato dalla legge rumena. Si tratta, piuttosto, di un "accordo prematrimoniale" tra due famiglie, e avviene sotto forma di "promessa", di solito quando i bambini hanno un'età compresa tra i 2 e gli 8 anni, con l'aspettativa che il matrimonio avvenga quando le ragazze raggiungono i 12-13 anni e i ragazzi i 13-15 anni.
Nei contesti in cui il matrimonio con/tra infraquattordicenni è diffuso, le ragazze che non si sposano prima dei 18 anni lo fanno di solito poco dopo, e possono avere esperienze di vita coniugale in gran parte simili a quelle che si sono sposate più giovani. In questi contesti, difatti, i matrimoni al di sotto dei 18 anni raramente si distinguono qualitativamente da quelli al di sopra dei 18 anni in termini di usanze, pratiche o aspettative sociali associate. In altre parole, il "matrimonio infantile" spesso risulta essere un’anticipazione di una pratica che viene portata avanti in ogni caso prima dei 20 anni.
3. Inserire la singola pratica nel più ampio sistema culturale (o religioso).
Il matrimonio con/tra infraquattordicenni spesso è una pratica considerata importante non solo per stabilire accordi fra famiglie (la ricchezza e lo status sociale delle famiglie coinvolte sono un fattore determinante per il matrimonio fra giovani), ma anche per preservare l'identità del gruppo e per prevenire l'assimilazione alla cultura dominante. Il matrimonio, difatti, è solito avvenire tra bambini appartenenti alla stessa comunità, di modo tale che venga assicurata la possibilità di tramandare le tradizioni culturali del gruppo.
Una volta trovato l’accordo e fino al matrimonio, la tradizione vuole che la ragazza rimanga con la famiglia del futuro marito, affinché la giovane coppia si abitui l'uno all'altra e si prepari alla vita in comune. Come sostengono i rappresentanti delle comunità rom, i due bambini crescono come "fratelli e sorelle" e sono amati entrambi come figli dalla famiglia del ragazzo. 
4. La pratica è essenziale (alla sopravvivenza del gruppo), obbligatoria o facoltativa?
Spesso il matrimonio con/tra infraquattordicenni è associato a determinate condizioni sociali, che sembrano influire sul perpetuarsi della pratica nelle generazioni, rendendola così essenziale per la sopravvivenza di alcuni gruppi sociali. Fra queste condizioni è importante segnalare:
 
  • una bassa aspettativa di vita, perciò la pratica è influenzata dalla necessità di riproduttività del gruppo;
  • una strategia in cui il matrimonio fra giovani rappresenta la migliore opzione disponibile sia per le figlie che per i genitori di fronte a ambiente economicamente svantaggiato e con scarse opportunità lavorative, o addirittura con carenza di beni di prima necessità;
  • In contesti di dissidi familiari, il matrimonio può fungere da mezzo conciliativo che permette alle famiglie di raggiungere una risoluzione del conflitto.
 
Queste condizioni ci fanno comprendere come, spesso, il matrimonio fra giovani non sia una situazione conflittiva ma, piuttosto, una necessità. Si tratta, insomma, di una strategia di accesso a varie risorse vitali, che è sostenuta da rappresentazioni simboliche e discorsive strutturate e condivise dalla società.
 
5. La pratica è condivisa dal gruppo o è contestata?
Dipende. Nei contesti nei quali le comunità non sono venute a contatto con il sistema educativo della cultura dominante, la pratica è generalmente accettata e condivisa. Nei gruppi rom europei, influenzati dal sistema educativo della cultura dominante, il matrimonio con o tra intraquattordicenni inizia a essere percepito in maniera negativa. In ogni caso, più che condannare apertamente il matrimonio, si tende a vederlo come un “tabù”, un argomento del quale non si deve parlare per evitare di entrare in conflitto con la cultura di appartenenza. Da diversi studi antropologici emerge, difatti, come molti interlocutori che non vivono più nella comunità di origine, siano comunque riluttanti a parlare di temi come le relazioni sessuali, l'educazione sessuale, il genere, le misure contraccettive e l'impatto della gravidanza precoce.
Un aumento delle “pratiche educative occidentali” rivolte a quest’argomento ha perciò fatto sì che la tradizione dei matrimoni con/tra infraquattordicenni sia diminuita in molti contesti.
Talvolta il matrimonio infantile viene erroneamente associato ai matrimoni combinati. Inoltre, nel discorso sulla salute globale, il matrimonio precoce viene talvolta descritto come una "pratica culturale dannosa", senza considerare adeguatamente le motivazioni e le circostanze specifiche che possono portare a questa scelta.
 
Inoltre, è essenziale riconoscere che il matrimonio precoce non riguarda esclusivamente un'eventuale costrizione, ma può coinvolgere scelte che, nelle specifiche circostanze culturali, vengono considerate appropriate. Al contempo, è importante promuovere un dialogo aperto riguardante i diritti umani, la sicurezza e il benessere delle persone coinvolte, affinché abbiano accesso a opportunità informative e educative per prendere decisioni consapevoli e autonome riguardo al loro futuro, inclusa la possibilità di decidere se e quando sposarsi.
6. Come si comporterebbe la persona media appartenente a quella cultura (o religione)?
I contesti sociali possono essere molto diversi fra loro. Appare comunque chiaro che la pratica sia strettamente legata al raggiungimento di uno “status” sociale, oltre che a delle necessità familiari; perciò, è presumibile che spesso ci sia la consuetudine nel portarla avanti.
La volontà dei giovani, soprattutto per quanto riguarda queste ultime generazioni, viene comunque generalmente rispettata, e le famiglie non si impegnano a portare avanti il matrimonio se capiscono che i ragazzi non si piacciono reciprocamente o se considerano che il matrimonio non possa durare.
7. Il soggetto è sincero?
 Al fine di accertare la sincerità dell’adesione alla pratica culturale da parte dei soggetti coinvolti (giovani sposi maggiorenni, familiari che partecipano all’organizzazione del matrimonio etc.) potrebbe essere utile procedere ad alcuni accertamenti fattuali aventi ad oggetto:
  • l’accettazione del vincolo del matrimonio tradizionale da parte dei due “sposi” coinvolti;
  • l’assenza di coercizione dei minori da parte degli adulti coinvolti nell’organizzazione: situazioni di asservimento e altre forme di condizionamento;
  • la sussistenza del consenso sulla prospettiva di vita condivisa;
  • la funzionalità del contesto sociale di convivenza creatosi in seguito al matrimonio;
  • l’età dei soggetti coinvolti nel matrimonio tradizionale.
 
8. La ricerca dell’equivalente culturale. La traduzione della pratica della minoranza in una corrispondente pratica della maggioranza (italiana). ​

Anche se non viene formalizzata in un vincolo matrimoniale, l’anticipazione dell’età in cui i minori italiani hanno un rapporto sessuale e iniziano una relazione romantica e intima, può essere considerata un equivalente culturale. Non è, infatti, infrequente il caso di una infraquattordicenne italiana fidanzata con un ragazzo poco più grande di lei che con questi abbia rapporti sessuali. Il legislatore penale ha tenuto conto di questo mutamento dei costumi e della libertà sessuale anche dell’infraquattordicenne, depenalizzando l’ipotesi di rapporto sessuale tra infraquattordicenne e persona che abbia quattro anni in più (art. 609 quater c.p). L’ipotesi, dunque, della ragazzina tredicenne che ha relazioni sessuali con un diciasettenne non ricade attualmente nella fattispecie penale. Si tratta di una norma culturalmente condizionata che tiene in conto soltanto la pratica culturale della maggioranza italiana e non considera, ad esempio, che presso i rom l’ipotesi più frequente è quella della infraquattordicenne che, raggiunta la pubertà, sposa un ragazzo che in genere ha diciotto o venti anni (l’età più elevata dell’uomo dipende dal fatto che deve avere già dei mezzi per mantenere la famiglia). Così il rapporto sessuale che avviene dentro una relazione stabile e potenzialmente desiderata e finalizzata anche ad un progetto di famiglia come quello che avviene nella coppia di sposi rom è sanzionato come abuso sessuale, con condanna del marito al carcere. Proprio il mutamento di costumi nella società italiana e il fatto che sia riconosciuta una libertà sessuale anche al minore quattordicenne potrebbe fondare una nuova valutazione dei casi concernenti in particolare i matrimoni rom dove la differenza di età è di poco più ampia rispetto a quella contemplata dall’art. 609 quater.
 
9. La pratica arreca un danno? ​
La pratica non arreca un danno se è frutto di una consapevole scelta di vita in comune, assistita da una certa progettualità, finalizzata alla costruzione di un nucleo familiare.
La scelta del matrimonio, anche se portata avanti da due soggetti giovanissimi, per alcuni gruppi delle popolazioni interessate, è infatti una importante forma di realizzazione dell’individuo, sicuramente ancora di più nei casi in cui le prospettive legate a percorsi di istruzione e formazione professionale non siano state pienamente accessibili.
Infatti, in alcuni contesti costituirebbe invece un danno mettere in discussione questa scelta, criminalizzandola, indebolendo quella volontà di partecipare alla società attraverso la costruzione di un nucleo familiare e minando il grado di socializzazione precedentemente raggiunto.
​10. Che impatto ha la pratica della minoranza sulla cultura, valori costituzionali, diritti della maggioranza (italiana)?
Nella percezione del gruppo ospite italiano, maggioritario, la pratica del matrimonio con/tra infraquattordicenni è percepita negativamente, come una scelta imposta a soggetti troppo giovani per autodeterminarsi.
Per la cultura maggioritaria, in primo luogo, la pratica contrasta con alcuni valori legati alla tutela dei minori quali dignità, libertà e autodeterminazione. Tale percezione è legata a una differente visione delle fasi dell’esistenza dell’essere umano: per la cultura maggioritaria, l’individuo, fin tanto che è minorenne, deve essere dedito al gioco, all’istruzione e alla costruzione del proprio futuro, lontano da stili di vita che invece sono riservati alla vita “adulta” come il lavoro o il matrimonio.
In secondo luogo, per la cultura maggioritaria la pratica sarebbe inoltre lesiva del valore costituzionale dell’eguaglianza di genere, presentandosi come una forte limitazione per le prospettive di realizzazione personale e professionale in particolare delle giovani donne coinvolte.
Sul piano giuridico è opportuno evidenziare che dal punto di vista civilistico è ad esempio possibile contrarre matrimonio a partire dai 16 anni di età, sulla base dell’istituto dell’emancipazione (art. 84 c.c.; art. 117 c.c.), ottenendo, in seguito a una valutazione sulla maturità psico-fisica del minore e in presenza di gravi motivi, un decreto di ammissione al matrimonio da parte dell’autorità giudiziaria su richiesta dell’interessato.
In ambito penalistico, una norma penale direttamente inerente all’istituto matrimoniale, anche tra minori, è l’art 558 bis, che riguarda però nello specifico la costrizione e l’induzione al matrimonio e che dovrebbe dunque escludere quei casi in cui sia stato prestato un valido consenso. 
Fuori da questa ipotesi, il diritto penale italiano vieta ogni tipo di atto sessuale al di sotto dei 14 anni di età, fatta eccezione per quegli atti che avvengano tra adolescenti, tra i quali non intercorrano più di quattro anni di differenza, per i quali il limite scende a 13 anni. Situazioni abusanti tra i soggetti coinvolti così come la sussistenza di relazioni di convivenza tra i medesimi alzano il limite di età ammesso talvolta a 16 anni.
Questa pratica culturale si presta quindi ad essere sanzionata più di frequente attraverso l’art. 609 quater (Atti sessuali con minorenne) che prevede al suo interno una causa di non punibilità per gli atti sessuali che avvengano tra minorenni – che abbiano compiuto gli anni tredici, se la differenza di età non è superiore a quattro anni - e un’attenuante di minore gravità. La norma statuisce dunque una forma di tutela graduata del minore in base all’età e alle circostanze. La norma è orientata in maniera specifica alla tutela dello sviluppo psico-fisico del minore in ambito di maturità sessuale. 
11. La pratica perpetua il patriarcato?
La pratica potrebbe perpetuare forme di patriarcato se vista in astratto e al di fuori del contesto culturale di provenienza perché sembra imporre alle giovani donne una scelta di vita casalinga e dedita alla famiglia, preclusiva di altre forme di realizzazione personale e professionale. Tuttavia, trattandosi di una scelta a cui il minore è guidato nel suo orizzonte culturale, non vi può essere automatismo tra la contrazione del vincolo matrimoniale e l’asservimento o la limitazione delle prospettive di realizzazione dell’individuo. La scelta della vita matrimoniale potrebbe essere stata valutata essa stessa come forma di realizzazione personale dai soggetti interessati.
Inoltre, si potrebbero delineare situazioni familiari funzionali dove non vi sono forme di assoggettamento patriarcale.
Anche se nella cultura maggioritaria i binomi “donna-casa/marito-lavoro” sono spesso associati a una struttura patriarcale è ben noto come in realtà tale distinzione funzionale non sempre realizza dinamiche di asservimento delle donne, portando, anzi, alla determinazione di sistemi “matriarcali”, sperimentati anche nella cultura maggioritaria e nei quali il ruolo della donna è sempre stato centrale (es. matrimonio in Sardegna dove nell’ambito di una struttura patriarcale permane una matrice matriarcale in cui la donna conserva il governo dell’economia della casa amministrando il denaro del marito).
12. Che buone ragioni presenta la minoranza per continuare la pratica? Il criterio della scelta di vita ugualmente valida.
Le buone ragioni che presenta la minoranza per continuare la pratica sono principalmente due:
In primo luogo, il matrimonio rappresenta un momento di realizzazione dell’esistenza dell’individuo e in quanto tale assume le caratteristiche per rientrare in quei modi di espressione dell’individuo così come intesi e tutelati dall’art. 2 della Costituzione. La scelta del matrimonio in giovane età riguarda una concezione delle fasi dell’esistenza dell’individuo leggermente differente rispetto alla cultura maggioritaria, ma non per questo non ugualmente valida. La scelta affonda le proprie radici in una vera e propria “cultura della fecondità”, dove la famiglia assume un ruolo centrale. La stessa cultura maggioritaria italiana ne è stata portatrice e ad oggi sussistono ancora gruppi consistenti di soggetti che hanno questa visione delle fasi dell’esistenza, in cui il matrimonio e la cura dei figli assumono un ruolo fondamentale (si pensi ad esempio agli appartenenti a particolari gruppi religiosi cattolici). La tendenza diametralmente opposta e ad oggi largamente diffusa nella cultura maggioritaria è invece improntata a prospettive di realizzazione fortemente “individualistiche”, economiche e professionali, in cui la costruzione di un nucleo familiare è un evento tardivo, quando non del tutto ignorato.
In secondo luogo, si tratta di scelte di vita “alternative” fortemente dipendenti da fattori economici e sociali che agiscono a doppio senso e che vanno al di là delle diversità culturali. Infatti i matrimoni in giovane età possono essere ritenuti una scelta di vita ugualmente valida anche per una carenza di quelle prospettive alternative, più individualistiche e comuni alla visione maggioritaria. Allo stesso tempo gli stessi fattori economici e sociali sono in grado di condizionare gli individui della maggioranza nel senso inverso, portandoli a generare una vera e propria cultura dell’infecondità. Poiché alle istituzioni non è dato annullare completamente gli effetti di tali fattori sociali ed economici sulle esistenze degli individui, entrambe le scelte si presentano come alternative valide e attuano forme di adattamento “pluralistico” rispetto alle caratteristiche della società odierna.
Infine, va considerata la libertà sessuale del minore infraquattordicenne e il suo diritto ad avere rapporti sessuali consenzienti anche prima dei quattordici anni, in alcuni casi garantita dalla stessa legge italiana con ipotesi di non punibilità o minore gravità del fatto.

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