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Mangel (mendicità rom)

Test culturale

1. La categoria “cultura” (o religione) è utilizzabile?
​No. Il mangel è un’attività economica. Si potrebbe definire come la pratica economica del chiedere, che viene svolta in uno spazio pubblico e in maniera informale.
2. Descrizione della pratica culturale (o religiosa) e del gruppo.
 
La pratica del mangel consiste nella richiesta di una donazione, quasi sempre in denaro, in luoghi pubblici come piazze e strade del centro urbano, oppure all’uscita di luoghi trafficati come le chiese o i mercati, ossia contesti dove vi può essere un incontro fra estranei.
In Italia questa pratica si è sviluppata a partire dagli anni 1980, soprattutto fra immigrati rom. Si tratta di un’attività economica dalle evidenti significazioni sociali e politiche, figlia di un adattamento da parte dei rom ad un contesto dove è difficile avere accesso alle attività lavorative normate, e che manifesta perciò delle chiare relazioni di potere.
Il mangel è una vera e propria attività lavorativa, praticata soprattutto dalle donne e caratterizzata da conoscenze delle tecniche corporee e da altre competenze specifiche legate alla gestualità. Nell’attività dell’accattonaggio, la persona che mendica racconta una storia degna di pietà attraverso la postura, i gesti, le parole e il comportamento del corpo, il tutto a seguito di una preparazione accurata, che risulta fondamentale per il successo dell’attività. La “costruzione” di una storia e di un corpo che mendica è infatti un processo, che richiede uno studio e un’analisi propria delle attività lavorative, e che ha bisogno di essere costantemente aggiornata perché deve tenere in considerazione il cambio del contesto dove si opera.
I gruppi rom costituiscono lo 0,25% della popolazione italiana. Attualmente sono circa 150.000 unità, dei quali poco meno della metà con cittadinanza italiana. Si tratta di una realtà estremamente eterogenea, un “mondo di mondi” (Piasere, 1999) che vive in contesti abitativi differenti e lavora in attività estremamente distinte fra loro. Una caratteristica che li accomuna è che spesso vivono in una condizione di marginalità, sia economica che sociale, il che li porta spesso a essere vittime di discriminazione.

3. Inserire la singola pratica nel più ampio sistema culturale (o religioso).
I rom comparano l’accattonaggio a un’attività di lavoro a tutti gli effetti, perciò non la si può analizzare come un’attività culturalmente definita. Basti pensare, per esempio, che non esiste un termine romané (la lingua dei rom) che indichi l’accattonaggio, ma ci si riferisce all’attività di andare a chiedere con l’espressione av te mangav, “andare a lavorare”. Il mangel, perciò, non è da intendersi come elemosina o carità, ma è piuttosto un’attività lavorativa specializzata, generalmente svolta dalle donne con i propri bambini, che da piccoli stanno sempre insieme alle madri durante l’arco di tutta la giornata.
Un altro elemento da tenere in considerazione, è, che i bimbi rom sono soliti stare quotidianamente con le madri almeno fino ai dieci anni, motivo per il quale una madre è abituata a portare con sé i propri figli anche durante il lavoro dell’accattonaggio. Una madre che non porta con sé nelle sue attività i propri figli in questa fascia d’età, in molti gruppi rom, non è considerata una buona madre, e il suo comportamento potrebbe essere interpretato come un abbandono del bambino. Quest’aspetto è molto importante da tenere in considerazione se si vuole comprendere il perché della diffusa presenza dei minori durante quest’attività, e per evitare di interpretare il mangel come un tratto culturale rom che prevarica l’infanzia.
L’attività del mangel è letta come economica e lavorativa in quanto è una attività di “raccolta” riconducibile al ruolo dei rom quali “cacciatori/raccoglitori contemporanei” (Piasere 1995, p. 348). Con la diminuzione delle attività produttive legate all’economia tradizionale rom (es. allevamento dei cavalli, lavorazione del rame, circo) a causa dell’urbanizzazione, il mangel rappresenta un mezzo per procacciarsi mezzi di sostentamento.
 
4. La pratica è essenziale (alla sopravvivenza del gruppo), obbligatoria o facoltativa?
Si tratta di un’attività economica e, come tale, necessaria per il sostentamento. Per alcuni individui la pratica del mangel è l’unica attività economica svolta, ed è percepita come attività di sostentamento e non di arricchimento.
5. La pratica è condivisa dal gruppo o è contestata?
In genere i rom praticano l'accattonaggio quasi esclusivamente all'estero, ossia nel contesto di migrazione, dove si sono create determinate condizioni e relazioni economico-sociali che hanno portato all’abbandono delle attività tradizionali. Svolgere tale attività in patria, dove si sforzano di creare un'immagine di sé come buoni zingari che traggono il loro sostentamento dalle attività tradizionali, in alcuni contesti può essere considerato vergognoso.
Dagli studi etnografici, risulta abbastanza evidente che i guadagni dei mendicanti sono molto bassi, e che generano un reddito vicino alla soglia della povertà. Difatti è prassi, una volta raggiunto il quantitativo necessario per il sostentamento quotidiano, lasciare l’attività del mangel e tornare a casa per evitare, come si legge in alcuni resoconti etnografici, di “diventare ricco”.
È importante sottolineare, inoltre, che non si registrano differenze reddituali fra donne rom che effettuano la pratica con i figli o senza i figli. Risulta abbastanza chiaro che la presenza dei figli dipende dalla necessità di portare con sé i bimbi durante la giornata, e non dalla necessità di sfruttare un potenziale economico suscitando un maggiore sentimento di pietà durante l’attività del chiedere, come spesso viene interpretato. Il genitore rom non ha nessun interesse a esporre i propri figli ai rischi ai quali vengono sottoposti i bambini nelle strade; difatti i bambini, anche se spesso autonomi nell’attività del chiedere, sono sempre sotto il costante controllo di un adulto.
6. Come si comporterebbe la persona media appartenente a quella cultura (o religione)?
L’associazione rom-accattonaggio che spesso viene fatta dai gagé (termine utilizzato dai rom per definire i non rom), sta inevitabilmente portando a un’abitudine alla subalternità da parte dei gruppi rom, che paradossalmente stanno “culturalizzando” un’attività che è prettamente economica. Le difficoltà di accesso a un sistema lavorativo normato, difatti, portano diversi gruppi rom ad abituarsi alla pratica, a renderla consuetudinaria e perciò a identificarsi in essa.
L’attività del mangel mette in pratica un chiaro squilibrio nelle relazioni di potere fra chi dà e chi chiede; si tratta di una sorta di reciprocità negativa con una forte dimensione politica, che racchiude in sé un sistema di disuguaglianze e di riproduzione di una distanza sociale molto grande che i gruppi rom stanno interiorizzando.
 
7. Il soggetto è sincero?
Al fine di far emergere elementi in grado di incidere sulla determinazione della pena, sul minore disvalore del fatto e quindi sulla concessione di alcuni benefici, potrebbe essere utile procedere ad alcuni accertamenti fattuali:
  • l’impossibilità per il genitore, nello specifico per la madre, di compiere quell’attività senza la presenza del minore, anche in ragione dello stretto rapporto madre-figli tipico della cultura in esame;
  • età del minore (l’interpretazione giurisprudenziale maggioritaria esclude che il fatto sia punibile quando il minore non sia in grado di essere cosciente e di percepire gli stimoli “negativi e diseducativi” della mendicità);
  • lo stato di bisogno;
  • le interferenze dell’attività con la vita del minore e la cura del minore nel contesto familiare.
8. La ricerca dell’equivalente culturale. La traduzione della pratica della minoranza in una corrispondente pratica della maggioranza (italiana). ​
Seppur sia difficile dare cifre attendibili sulla diffusione dell’accattonaggio in Italia, si può affermare che la mendicità è stato un fenomeno molto diffuso nel passato, e che nel Medioevo era visto ancora con valenza positiva, in quanto legato alla dottrina della carità, e quindi uno strumento per il donatore di “comprare” la salvezza dell’anima. Con l’arrivo dello Stato Moderno, la pratica è stata soggetta a varie forme sanzionatorie, su tutte quella dell’epoca fascista; attualmente è liberamente praticata anche da italiani, seppur generalmente non accompagnati da minori come invece spesso accade fra i gruppi rom.
9. La pratica arreca un danno? ​
La pratica potrebbe arrecare un danno, ma in presenza di alcune condizioni.
Un danno fisico potrebbe riscontrarsi nei casi in cui il genitore usi portare con sé i propri figli a mendicare anche in condizioni metereologiche avverse.
La possibilità di un danno psichico al minore sarebbe invece strettamente collegata alla concezione che il gruppo culturale-familiare di appartenenza ha della pratica in sé. Se ad esempio quest’ultima non è ritenuta umiliante ma piuttosto un modo naturale di reperire delle risorse in uno stato di bisogno, potrebbe essere percepita come un’abitudine normale anche dal minore e, per quanto contraria alle norme statuali, potrebbe non generare in esso alcun danno psichico.
Un altro elemento che potrebbe incidere sulla configurazione del danno psichico è ad esempio il grado di coinvolgimento del minore nella cultura maggioritaria (per esempio nel caso di frequentazione della scuola e di coetanei appartenenti ai gruppi maggioritari) e dell’influenza di quest’ultima sulla percezione che il minore ha della pratica.
Il danno psichico sarebbe poi escluso nel caso in cui il minore non possa essere cosciente dell’attività posta in essere dal genitore, perché per esempio troppo piccolo. 
​10. Che impatto ha la pratica della minoranza sulla cultura, valori costituzionali, diritti della maggioranza (italiana)?
La pratica del mangel è percepita dal gruppo ospite in due modi differenti.
Una parte della maggioranza accetta la pratica: questa genera nel prossimo un sentimento di pietà e di empatia rispetto allo stato di bisogno altrui, non viene ritenuta lesiva di determinati valori, ma ne stimola alcuni tipici della cultura cristiana o comunque coerenti con la concezione di solidarietà tra consociati di cui all’art. 2 della Costituzione. Il mendicare è visto, da questa posizione, come un modo pacifico di redistribuzione della ricchezza, laddove lo stato non riesce pienamente in tale compito. Inoltre, il mendicare è visto come un meccanismo che evita ai rom la commissione di reati quali il furto per procacciarsi un sostentamento. La presenza di minori nel mangel è ritenuta da questa posizione come un male minore all’ipotesi che il genitore venga punito penalmente e che il bambino perda il contatto con il genitore a seguito dell’incarcerazione.
Per un’altra parte della maggioranza la pratica genera fastidio e contrasta con alcuni valori. In primo luogo, si scontra con una concezione del lavoro quale diritto-dovere e strumento di realizzazione personale e della società: il lavoro infatti è percepito positivamente perché associato al raggiungimento di risorse attraverso lo sforzo, la mendicità corrisponde invece all’ottenimento di qualcosa in cambio di nulla, rappresentando il raggiungimento di un obiettivo economico attraverso il processo del non lavoro.
Per questo motivo, le segnalazioni sui mendicanti che vengono fatte dai cittadini gagé alle autorità, sono segnalazioni figlie di una non tolleranza della pratica, ossia l’espressione di un disturbo che non riconosce un’attività che, seppur lecita, è considerata fastidiosa.
In secondo luogo, quando la pratica coinvolge i minori, si scontra con i valori riguardanti la tutela dell’infanzia, un momento educativo che nella cultura di maggioranza deve essere connotato esclusivamente dal gioco, dalla spensieratezza, dalla cura della salute e dall’istruzione. Per la cultura maggioritaria in questo caso vi è un uso strumentale dei minori, sintomatico di una “cattiva genitorialità” che mette a repentaglio la salute e la dignità del bambino e lo sottrae all’impegno scolastico.
In terzo luogo, la pratica contrasta con il valore della sicurezza pubblica, viene infatti vista come “pericolosa”, soprattutto se portata avanti in presenza di minori, perché altamente “diseducativa” e potenzialmente in grado di avviare i minori stessi alla delinquenza e all’ozio e di generare pertanto, in previsione futura, un pericolo per la pace sociale e la sicurezza pubblica.
 
Sul piano giuridico la pratica è spesso definita dalla giurisprudenza come “culturale”—anche in assenza di approfondimenti di natura antropologica—e contrasta con il diritto penale quando viene esercitata in modalità “moleste” oppure è realizzata per mezzo o con minori.
Nel primo caso è sanzionata in via contravvenzionale, dall’art. 669 bis (Esercizio molesto dell’accattonaggio), norma posta a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica.
Nel secondo caso è ricondotta a fattispecie più gravi che tutelano la personalità individuale e la libertà personale, in particolare all’art. 600 octies c.p. (Impiego di minori nell’accattonaggio) che tutela della libertà psico-fisica del minore.
Oltre alla mera lesione della libertà psico-fisica in alcune pronunce giudiziarie si evidenzia come la pratica sia fortemente diseducativa, privativa dell’istruzione e “predisponente all’ozio e alla delinquenza”. Nonostante, dunque, con alcune modifiche legislative, si sia voluto ricondurre tale pratica tra i reati che tutelano la persona, sembra che nella visione maggioritaria, anche sul piano giurisprudenziale, la condotta sia ancora sanzionata in un’ottica securitaria che, anche se in misura residuale, richiama beni come la tranquillità, l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza piuttosto che la mera tutela della personalità individuale dei minori.
11. La pratica perpetua il patriarcato?
Non sembra che la pratica abbia incidenza alcuna sulla perpetuazione del patriarcato. Dalle ricerche antropologiche emerge infatti che si tratta di un’attività destinata alle donne in alcuni gruppi, ma in altri riservata agli uomini. Inoltre, spesso questi ultimi partecipano in altri modi alla pratica ad esempio attraverso il controllo dello spazio pubblico in cui l’attività si svolge, per assicurare una forma di sicurezza.
12. Che buone ragioni presenta la minoranza per continuare la pratica? Il criterio della scelta di vita ugualmente valida.
Dietro questa pratica si manifestano delle chiare forme di configurazione di potere, e vi è un’evidente condizione di subalternità alla quale i rom stessi si stanno abituando. Le segnalazioni alle autorità fatte dalla maggioranza, accompagnate dal costante dibattito nell’opinione pubblica sull’argomento, stanno conducendo a una “culturalizzazione” della pratica, ossia a un’autorappresentazione di sé da parte dei rom come mendicanti, che dal portare avanti una pratica economica, stanno passando a identificarsi in essa anche culturalmente, facendone una caratteristica identitaria propria.
Si potrebbe perciò affermare, in linea con ciò che sostiene l’antropologo Leonardo Piasere, che la scelta di praticare queste tecniche lavorative sia una riposta adattativa al contesto, frutto di processi di incontro-scontro con la maggioranza. In quest’incontro, i rom cercano di riempire quegli spazi e quelle attività marginali dove si attira meno l’attenzione, occupando “quella nicchia che l’imperfezione della legge della domanda e dell’offerta lascia sempre vuota” (1999, p. 94), e andando a identificarsi in questo ruolo.

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