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Lutto, Sepoltura, Culto dei morti

Test culturale


1. La categoria “cultura” (o religione) è utilizzabile?
​Sì, la categoria cultura è utilizzabile. Per quanto la morte sia un processo biologico, essa ha tuttavia delle implicazioni sociali e culturali. Il lutto e la sepoltura, infatti, possono essere considerati come degli interventi culturali (o religiosi) che vengono messi in atto a seguito alla morte di una persona e sul cadavere stesso, come risposte sociali alla fine di una vita. Il culto dei morti prosegue lungo tutto l’arco della vita dopo gli eventi del lutto e della sepoltura.
2. Descrizione della pratica culturale (o religiosa) e del gruppo.
Lutto. Con il termine lutto si intende l’insieme dei processi psichici e delle pratiche sociali conseguenti alla morte di una persona. Generalmente, lo stato di lutto si può interpretare come un accompagnamento della transizione dei defunti, mettendo in atto riti, comportamenti specifici e pratiche.
Il processo di elaborazione della morte di qualcuno è stato a lungo considerato come qualcosa di comune a tutto il genere umano. Tuttavia, non esiste un’espressione univoca e universale del dolore della perdita. Essendo culturalmente influenzato, il lutto e la percezione della morte stessa hanno caratteristiche estremamente differenti a seconda del gruppo culturale in questione, così come all’interno della stessa società si possono trovare differenze sia che si consideri la questione da un punto di vista geografico, diacronico, o addirittura a seconda della posizione sociale del morto, dei gradi di parentela, ecc.
Nella nostra società il lutto viene tendenzialmente inteso come cordoglio, ossia come reazioni interiori e psicologiche che seguono la morte di una persona cara, o come lutto collettivo.


Sepoltura. Con il temine sepoltura si intendono qui, in senso ampio, tutti quegli interventi messi in atto sul corpo del defunto per gestire il processo di decomposizione. La parola sepoltura non coincide con il termine inumazione o sotterrare, ma, come rivela l’etimo, deriva dalla radice indoeuropea sap- rendere onore (seppellire, http://www.etimo.it/) pertanto, in questo Vademecum, si recupera il significato etimologico del termine e lo si usa in termini estensivi.
Ciò che rende tangibile la morte e che persuade, quindi, il gruppo sociale dell’assenza di un suo membro è l’alterarsi fisico del cadavere. I sistemi di credenze concernenti la morte, in ciascuna società, si riflettono nelle diverse modalità di trattamento dei cadaveri.
Compito del gruppo sociale è quello di gestire il processo di putrefazione del corpo del defunto che, a parte qualche raro caso (“I riti di iniziazione di alcuni Pigmei africani prevedevano la convivenza a stretto contatto con un cadavere per sei giorni”, Favole 2003, p. 35), viene generalmente trattato nei seguenti modi:

  • Evitamento della decomposizione: cremazione o cannibalismo funebre;
  • Accelerazione della decomposizione: esposizione o abbandono rituale affinché i corpi siano mangiati da animali;
  • Dissimulazione della decomposizione: inumazione (nella terra con o senza involucro quale lenzuolo o bara), tumulazione (in loculo, sarcofago, urna etc.) ma anche sotterramento in grotte o in altri luoghi naturali, come tra le radici di grandi alberi, o immersione nell’acqua;
  • Rallentamento della decomposizione: imbalsamazione temporanea, tanatoprassi (estetica mortuaria che prevede il trattamento delle cavità interne del cadavere con liquidi antisettici, per ritardare gli effetti della putrefazione);
  • Bloccaggio della decomposizione: mummificazione, criogenizzazione (ossia una progressiva ibernazione e conservazione del cadavere, particolarmente diffusa negli USA).
 
Ciò che accomuna le diverse modalità di gestione dei cadaveri è la garanzia di una specifica attenzione nei confronti di un corpo che viene percepito ancora “umano”, ossia come parte del gruppo sociale in questione.
Le diverse forme di sepoltura non hanno una distribuzione geografica omogenea. All’interno dello stesso gruppo sociale possono inoltre coesistere più modalità di sepoltura (in Australia, ad esempio, coesistono quasi tutte le forme di sepoltura presenti al mondo).
All’interno dello stesso contesto italiano troviamo sia la sepoltura in terra (inumazione) o loculo (tumulazione), che la cremazione, che trattamenti di mummificazione, riservati ad alcuni corpi particolarmente importanti.
Nonostante vi siano diverse tipologie di sepoltura ricorrenti tra le varie popolazioni, la complessa rete di simboli e significati che ogni cultura associa al rito funebre fa sì che non sia possibile fornire una spiegazione e interpretazione univoca. I significati e le motivazioni alla base di una scelta di sepoltura simile possono infatti essere addirittura opposti in società o epoche diverse.
 
Culto dei morti
Con l’espressione culto dei morti si intendono quelle pratiche poste in essere, dopo l’elaborazione del lutto e il compimento della sepoltura, lungo tutto l’arco della vita per rendere omaggio o tenere viva la memoria del defunto. Esse possono svolgersi nella sfera domestica (es. altarini dedicati agli antenati, tavolini con fotografie, conservazione delle ceneri) o nella sfera pubblica (es. Dia de los muertos in Messico che prevede veglie, danze e banchetti nei cimiteri; Gule Wamkulu, ovvero canti e danze rituali per rinnovare le tradizioni affidate agli antenati in alcune zone del Malawi, Zambia e Mozambico).

3. Inserire la singola pratica nel più ampio sistema culturale (o religioso).
Lutto, sepoltura, culto dei morti si inseriscono nel più ampio approccio che un gruppo ha verso la morte, l’emotività e la religione, in particolare le credenze circa la vita dopo la morte.
La morte è sicuramente un elemento di crisi nel rapporto tra gli individui della società. Tuttavia, il corpo di un defunto non viene praticamente mai percepito come un mero corpo biologico, ma mantiene piuttosto delle caratteristiche “umane”. Il defunto è oggetto di specifiche cure, talvolta purificanti talaltra puramente estetiche. Tali cure non si limitano a operazioni di pulizia, ma riportano simbolicamente il corpo all’interno del mondo dei vivi, della società, oltre ad essere espressione di affetto. Le preparazioni ai riti funebri riattivano le reti sociali e ricostituiscono il gruppo di appartenenza: ciò che emerge come fondamentale è quindi l’importanza delle complesse reti di scambio che si creano attorno ai defunti, andando a creare una vera e propria vita sociale dei e con i morti. Il culto dei morti portato avanti lungo tutto l’arco della vita con cadenze periodiche (es. annuali) rinnova tale legame.
L’elaborazione del lutto può essere condizionata dal modo in cui un gruppo percepisce l’emotività: in gruppi dove è legittimo o anche doveroso manifestare esteriormente le emozioni più violente, il lutto si accompagna a grida e pianti che non vengono repressi, all’obbligo di vestire in un certo colore, di non andare a certi eventi anche per un lungo periodo dopo la morte del proprio caro; viceversa in gruppi dove è ritenuto sconveniente abbandonarsi al dolore il lutto si manifesta in modo silenzioso e non viene esteriorizzato tramite l’obbligo di indossare un certo abbigliamento o di astenersi da certi comportamenti (es. partecipare a feste).
Un elemento del sistema culturale che può incidere sul lutto e avere risvolti giuridici è l’esposizione del minore alla realtà cruda della morte. In certi gruppi il clima di cordoglio e tristezza potrebbe prevalere a lungo e l’esposizione di minori alla visione del cadavere e a manifestazioni di forte dolore fanno parte di una concezione del minore non come soggetto da proteggere dai dolori della vita, ma come pienamente protagonista della società degli adulti.
Le pratiche di lutto, sepoltura e culto dei morti possono meglio intendersi se inserite nelle credenze religiose del gruppo. La morfologia della sepoltura cambia a seconda che la morte sia percepita come la fine definitiva dell’esistenza o ci sia una credenza di resurrezione. Ad esempio, la sepoltura per inumazione o tumulazione, invalsa presso i gruppi cristiani, che fino a tempi recenti si accompagnava ad un divieto religioso di cremazione e di dissezione dei corpi, ha le sue radici anche nella credenza del giudizio universale che alla fine del mondo determinerà la resurrezione dei corpi. Il corpo deve restare nella tomba perché si ricostituirà identico alla fine del mondo.
Viceversa, l’abbandono del corpo in cimiteri all’aperto per essere mangiato da avvoltoi, invalsa ad esempio nello zoroastrismo dell’antica Persia e nel Tibet corrisponde ad una concezione della morte come momento di passaggio ad altre vite. Non è necessario preservare il corpo in quanto nel ciclo delle reincarnazioni verrà assegnato un altro corpo. In Tibet, inoltre, vi sono concezioni di parità dell’essere umano con tutto il resto l’universo per cui il corpo morto deve servire, in un atto compassionevole, a nutrire altri esseri viventi.
Il culto dei morti può essere molto intenso in sistemi culturali dove esiste uno stretto legame con gli antenati, che vengono considerati come parte integrante della famiglia, a cui rivolgersi per prendere decisioni, da onorare e tenere presenti nel salotto di casa (es. Giappone); le diverse credenze sulle sorti dell’anima dopo la morte possono spingere a preghiere private o tramite figure sacre (es. preti, sciamani) per aiutare l’anima del defunto ad uscire da un certo status (es. messe per le anime purganti, riti per aiutare il morto a lasciare questo mondo o riposare in pace).
4. La pratica è essenziale (alla sopravvivenza del gruppo), obbligatoria o facoltativa?
Dato che non si tratta di una singola pratica univoca, dipende da quale pratica si prende in considerazione. Può trattarsi di pratiche obbligatorie, come ad esempio in casi di indicazioni religiose e/o culturali in tema di gestione del corpo del defunto, così come di pratiche facoltative, soprattutto per quanto riguarda la gestione e le modalità di esprimere il lutto. Bisogna comunque considerare che l’adesione ad un determinato modello di lutto e/o di pratica di gestione del corpo dopo la morte viene generalmente considerata come la più adeguata e migliore, sulla base del proprio sistema di credenze legate alla vita e alla morte.
 
5. La pratica è condivisa dal gruppo o è contestata?
La pratica è condivisa dal gruppo di appartenenza. Deve però essere considerato che non vi è un modello unico valido per tutti, per cui anche all’interno dello stesso gruppo possiamo in realtà trovare diversi approcci al lutto, alla sepoltura e al culto dei morti. Vi sono, inoltre, alcune pratiche di lutto, sepoltura e culto dei morti che possono essere abbandonate dal gruppo di appartenenza quali ad esempio la forte esternazione del lutto con pianti e grida oppure la pratica del lavaggio delle ossa invalsa fino a qualche decennio fa nell’arcipelago di Okinawa, Giappone, che consisteva nel far dissecare i corpi in un grande contenitore di ceramica o cemento nella prima fase della sepoltura e poi, nei 3-7 anni successivi, riesumare le ossa per lavarle nell’acqua marina.

6. Come si comporterebbe la persona media appartenente a quella cultura (o religione)?
Una persona media si adeguerebbe alla pratica di lutto, sepoltura e culto dei morti comune al gruppo di appartenenza. Tuttavia, soprattutto per quanto riguarda il lutto, bisogna considerare che la componente psicologica individuale gioca un ruolo fondamentale, motivo per cui non vi può essere una reazione “standard” e identica per tutti gli individui. 
7. Il soggetto è sincero?
In questo caso l’adesione sincera alla pratica, così come anche l’opposizione a particolari trattamenti dopo la morte, escludono la sussistenza di un intento lesivo rispetto al corpo dei defunti e sono indicative della volontà di offrire adeguata cura ai propri cari anche dopo la morte. Se la partecipazione è sincera, si potrebbe anche determinare l’assenza di un danno (ad esempio sui minori conviventi con i parenti del defunto) rispetto a determinate modalità di vivere il lutto, perché tipiche di un determinato contesto culturale e quindi non solo accettate, ma addirittura essenziali per l’elaborazione del dolore e della morte. A tal fine sarebbe utile accertare:
 
  • la corrispondenza della pratica/dell’opposizione a particolari trattamenti (esempio all’esame autoptico)/ di particolari modalità di vivere il lutto, al sistema di credenze di riferimento del soggetto;
  • i legami, nella cultura di provenienza, tra queste pratiche funebri/rifiuto di determinati trattamenti sul corpo dei defunti/modalità di vivere il lutto e le concezioni di immortalità, vita eterna, dogmi religiosi e aldilà;
  • le eventuali ripercussioni che la non attuazione della pratica (o attuazione del trattamento a cui ci si oppone) ha, per la cultura di provenienza, sulle sorti dell’anima del defunto o, addirittura, su quella dei parenti ancora in vita (potrebbe ad esempio mettere in discussione l’accesso alla vita eterna, oppure determinare la dannazione dell’anima o interferenze tra essa e la vita dei parenti superstiti);
  • la compatibilità della pratica con le norme igienico-sanitarie dell’ordinamento e le possibilità di attuare eventuali deroghe in sicurezza;
  • - la presenza di determinate prassi sviluppate da alcune comunità religiose/culturali con l’intento di adeguarsi alle normative e alla cultura del paese ospitante.
 
8. La ricerca dell’equivalente culturale. La traduzione della pratica della minoranza in una corrispondente pratica della maggioranza (italiana). ​
Il lutto presso gli italiani ha subito mutamenti significativi. A forme di manifestazione drammatiche accompagnate da grida strazianti si è sostituita, soprattutto nelle aree urbane una regola di contenimento delle emozioni che avvicina l’Italia a paesi asiatici dove quasi non si piange (es. Vietnam). Mentre in passato era comune esporre i bambini alla vista dei cadaveri e ai riti funebri, ora si tende ad evitare questa esposizione, anche qui con una prevalenza di tale comportamento nelle aree urbane.
Per quanto riguarda forme di sepoltura l’Italia è vicina a quei gruppi che praticano l’inumazione e la cremazione.
Rispetto al culto dei morti, l’Italia prevede la visita ai cimiteri per portare fiori una volta all’anno come rito collettivo, nonché singole visite individuali durante l’anno. Nei cimiteri si usa portare fiori mentre sono venute meno altre pratiche quali banchetti o danze, invalsi prima della riforma dei cimiteri avvenuta nel periodo napoleonico. Oltre che nei cimiteri, il culto dei morti è praticato, talvolta, nelle case con l’esposizione di fotografie del defunto (in tavolini dedicati o nei luoghi più esposti alle visite di ospiti come il salotto), accompagnata, talvolta, dall’accensione di lumini o dal porre accanto un vaso di fiori. A livello di pratiche religiose diffuse presso la religione cattolica dominante in Italia, il culto dei morti può concretarsi nel chiedere al sacerdote l’esecuzione di messe in suffragio del defunto e per la liberazione della sua anima dalle pene del purgatorio.
9. La pratica arreca un danno? ​
Le pratiche che sono legate all’evento del lutto possono incidere su tre categorie di soggetti: i defunti stessi, i congiunti ad essi superstiti, la collettività.
Alcuni trattamenti del corpo dopo la morte o talune modalità di sepoltura potrebbero essere interpretate nel nostro ordinamento come vere e proprie condotte criminali contro i defunti (si pensi ad esempio a pratiche che prevedano di bruciare i corpi su delle pire o di lasciare il cadavere in natura, attendere la sua decomposizione per recuperarne solo successivamente i resti ossei) ma se si tratta di usanze coerenti con la cultura di provenienza e dotate di particolari significati sarebbe escluso l’intento lesivo di agire malevolmente su un cadavere.
In altri casi il danno potrebbe riguardare la salute dei prossimi congiunti e di altri soggetti che si occupano dei rituali, così come anche della collettività in generale, ad esempio quando vi sia il pericolo di diffusione di un determinato agente patogeno attraverso la veglia sul corpo, in assenza di accertamenti delle cause della morte, o altri pericoli per la salute a causa della violazione di norme igienico-sanitarie.
Certo è che dall’altro lato, per alcuni gruppi arreca un danno, al defunto e ai prossimi congiunti, il non poter eseguire a regola d’arte le pratiche rituali culturalmente tipiche della propria comunità/religiosa (tant’è che la maggior parte degli stranieri progetta già in vita il rientro della propria salma nel paese di origine). La rinuncia a particolari rituali, perché incompatibili con le norme di polizia mortuaria, l’impossibilità di attendere un certo periodo di veglia prima della sepoltura, oppure l’esecuzione di esame autoptico o di altri prelievi sul corpo del defunto non accettati nella propria cultura, potrebbe, infatti, determinare, nel sistema di credenze del soggetto, un danno irreparabile per il defunto, intralciando o impedendo il percorso verso la vita eterna o verso ad esempio la reincarnazione, ma allo stesso anche per i parenti, sia per eventuali interferenze dell’anima del defunto con la vita terrena futura dei congiunti sia direttamente per la loro sofferenza di non poter apprestare le cure adeguate secondo il proprio culto.
Potenzialmente, il timore di non poter eseguire i propri rituali legati al culto dei morti potrebbe altresì condurre alcuni soggetti di cultura diversa a evitare i ricoveri o omettere la denuncia dei decessi creando un pericolo per la salute propria e della collettività.
Le pratiche del lutto, della sepoltura e del culto dei morti potrebbero essere percepite, in certi casi, come causanti un danno sul minore, ad esempio, quando questo viene esposto a forme troppo drammatiche di espressione di lutto, o a obblighi collegati al lutto che ne impediscono la vita di relazione (es. divieto di partecipare ad occasioni di festa o eventi mondani per un anno o più) o a culti dei morti che tengono vivo il ricordo del morto. In generale, il minore socializzato in un certo gruppo culturale non riporta danni da tali modalità che vengono percepite in modo patologico soltanto dalla cultura maggioritaria per mancanza di abitudine o sensibilità culturale.
​10. Che impatto ha la pratica della minoranza sulla cultura, valori costituzionali, diritti della maggioranza (italiana)?
Per la cultura di maggioranza alcune pratiche legate al lutto, alla sepoltura o al culto dei morti tipiche di alcune minoranze potrebbero essere percepite come sintomatiche di una scarsa serietà rispetto al tema della morte, oppure come morbose, frutto di una credulità irrazionale, o manifestanti una scarsa fiducia nella medicina e nella scienza. In altri casi potrebbero essere interpretate come vere e proprie offese sul cadavere e come condotte efferate e criminali. La problematica però non è particolarmente sentita perché in generale si ha una concezione “transitoria” dello straniero, pertanto, non si riflette spesso sul momento della sua morte, né è diffusa la consapevolezza della estrema diversità in materia di rituali funebri religiosi esistenti rispetto a quelli propri della cultura di maggioranza.
 
Le pratiche legate al culto, alla sepoltura e al culto dei morti impattano sul valore della dignità del corpo dei defunti e sul sentimento collettivo della pietà per i defunti, entrambi legati alla percezione di un dovere morale da parte dei congiunti di garantire al proprio caro cura e omaggio adeguati anche dopo la morte, secondo modalità che siano possibilmente rispettose della sua volontà, che agevolino l’elaborazione/accettazione del lutto da parte di coloro che sono ancora in vita ma anche, a seconda delle credenze, che garantiscano l’accesso del defunto ad una pace “eterna”.
 
Nell’ordinamento giuridico italiano la pratiche di lutto, sepoltura e tutto ciò che riguarda in genere il culto dei morti e i trattamenti del corpo dopo la morte sono ascrivibili alla tutela dei seguenti diritti costituzionali: libertà religiosa (art. 19 Cost.); principio di eguaglianza tra le confessioni religiose (art. 8 Cost.); il principio di laicità positiva da essi derivante, secondo cui lo Stato deve avere un atteggiamento di promozione rispetto alle forme di esercizio di forme di culto differenti da quella maggioritaria nonché di tutela delle medesime, sia nelle manifestazioni individuali che in quelle collettive. Le pratiche in questione sono suscettibili di impattare anche con il diritto alla salute (art. 32 Cost.), per questo sono previste delle normative (come, ad esempio, il Regolamento di Polizia Mortuaria, d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 o la Legge n. 130/2001 in materia di cremazione e dispersione delle ceneri) che disciplinano l’esercizio dei rituali funebri e in generale del trattamento del corpo dei defunti di modo che non sia messa in pericolo la salute dei congiunti o della collettività.
 
Si distingue, talvolta, tra i diritti di sepolcro primario, che riguardano il diritto di ogni persona di essere sepolto in un manufatto funerario, ottenuto in concessione dallo stato per un determinato periodo di tempo e in alcuni casi trasmissibile per atto inter vivos o mortis causa (si tratta di un diritto che è stato equiparato al diritto di superficie simile a quello che viene ottenuto per la costruzione di alloggi popolari), insieme agli altri poteri ad esso riconnessi (uso e godimento del sepolcro ad esempio) e i diritti di sepolcro secondario, facendo in questo secondo caso riferimento a dei diritti personalissimi e intrasmissibili, spettanti ai congiunti del defunto, quali quelli dell’accesso al luogo di sepoltura, alla non violazione del sepolcro e all’opposizione ad ogni trasformazione che arrechi pregiudizio a quella spoglia, che possono trovare tutela, secondo quanto indicato da alcune interpretazioni giurisprudenziali, nei diritti fondamentali dell’individuo (art. 2 Cost.).
11. La pratica perpetua il patriarcato?
In generale non si ravvisano differenze nelle manifestazioni del lutto e nelle forme di sepoltura se a morire è un uomo o una donna. Si ravvisano, tuttavia, alcuni profili in cui potrebbe parlarsi di influenze patriarcali nelle conseguenze del lutto. In genere il lutto non produce un divieto dei soggetti di risposarsi, ma in alcuni gruppi la pressione, soprattutto sulle vedove, a non risposarsi può essere forte e non equiparabile a quella esistente sugli uomini invece incoraggiati a farlo (es. Sardegna rurale). A seguito della morte del coniuge, inoltre, potrebbero sorgere degli obblighi di sposarne il fratello (es. Levirato ebraico) che, pur non nati necessariamente con logiche patriarcali di sottomissione della donna, ma piuttosto di preservazione del patrimonio dentro uno stesso asse familiare, hanno conseguenze sui diritti delle donne e degli uomini coinvolti in tali obblighi matrimoniali.
12. Che buone ragioni presenta la minoranza per continuare la pratica? Il criterio della scelta di vita ugualmente valida.
I differenti comportamenti messi in pratica dalle diverse popolazioni vengono percepiti come i più adeguati al fine gestire un momento di crisi come quello della morte di un membro della propria comunità, sia per quanto riguarda il lutto che per quanto riguarda la successiva gestione del corpo del defunto.
Le diverse pratiche di sepoltura e culto dei morti, inoltre, possono essere fondamentali per trasmettere a livello intergenerazionale i valori condivisi dal gruppo di appartenenza, sia in termini religiosi che culturali. Inoltre, spesso tali pratiche sono fortemente legate alla percezione e al significato di essere umano e di vita dopo la morte, motivo per cui risultano fondamentali per il contesto culturale di appartenenza.
 Spesso, in contesti migratori, l’educazione dei figli/delle figlie secondo il modello proposto dalla propria comunità viene quindi percepito come fondamentale al fine di tenere saldo il legame con il proprio vissuto culturale.

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