ANTHROJUSTICE
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Circoncisione maschile
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Test culturale



1. La categoria “cultura” (o religione) è utilizzabile?
​Le categorie cultura e religione sono utilizzabili in quanto la pratica, a cui vengono attribuiti specifici significati, avviene all’interno di determinati gruppi religiosi ed etnici. 
2. Descrizione della pratica culturale (o religiosa) e del gruppo.
 La pratica della circoncisione maschile, ovvero la parziale o totale rimozione del prepuzio del pene è documentata a partire dal 3000 a.C circa. Esistono due tipi di circoncisione: la cosiddetta circoncisione culturale e la circoncisione religiosa. Si tratta di una pratica diffusa in diversi gruppi etnici/religiosi, con una vastissima diffusione geografica, tanto che si stima che più del 30%, se non quasi il 40%, della popolazione maschile globale sia circoncisa. L’età dei bambini sottoposti alla circoncisione può variare molto: la circoncisione neonatale è comune nella religione ebraica (nell’ambito della quale viene praticata entro l’ottavo giorno dopo la nascita), negli Stati Uniti, in Canada, Australia e Nuova Zelanda, in molti dei paesi del Medio Oriente, Asia centrale e Africa occidentale, mentre in altri paesi la pratica viene eseguita in un’età compresa tra l’infanzia e la tarda adolescenza.
Per quanto riguarda la circoncisione religiosa, la pratica solitamente è finalizzata a preparare il bambino alla vita nella sua comunità religiosa ed è praticata nella religione musulmana, in quella ebraica, tra i Cristiani Copti e i Cristiani Ortodossi Etiopi. Nella religione ebraica, questo rituale deriva da un patto stretto tra Abramo e Dio, per cui la circoncisione diventa il segno fisico di appartenenza al popolo eletto ebraico. Nella religione musulmana non vi è una specifica menzione nel Corano: tuttavia i musulmani praticano la circoncisione come conferma della loro relazione con Dio (si tratta del gruppo religioso più ampio che pratica la circoncisione per motivi religiosi). Troviamo infine la circoncisione religiosa tra i Cristiani Copti e i Cristiani Ortodossi Etiopi, due delle più antiche forme di Cristianesimo, di cui la circoncisione rimane una delle caratteristiche.
Per quanto riguarda la cosiddetta circoncisione culturale, quindi praticata non per motivi religiosi, si tratta anche in questo caso di una prassi estremamente diffusa. Le principali ragioni alla base sono legate a porre l’accento su differenze di genere e quindi sottolineare la separazione del mondo maschile da quello femminile – quindi con una funzione di gendering, volta a determinare culturalmente e simbolicamente l’identità di genere del bambino – affermando l’appartenenza a un determinato gruppo. La circoncisione maschile mira all’effetto sociale che essa stessa produce, piuttosto che alla modificazione fisica di per sé. È spesso un mezzo per accedere a determinate prerogative sociali legate al genere e consacra e istituisce la differenza tra uomini e donne. Altri significati sono legati al “miglioramento” del corpo o dello status del bambino attraverso il rituale.
Troviamo forme di circoncisione culturale nella maggioranza dei paesi africani, in Corea, nelle Filippine, tra gli aborigeni australiani. È altresì diffusa negli Stati Uniti (con circa l’80% degli uomini ad essere circoncisi), in Canada e in Nuova Zelanda. In tali paesi la pratica si è inizialmente diffusa nei contesti puritani, che introdussero la circoncisione infantile nel diciannovesimo secolo per prevenire o compensare "comportamenti immorali", come la masturbazione. La pratica si è poi radicata, anche per la convinzione che costituisca una buona norma igienica e di prevenzione di malattie.
 
3. Inserire la singola pratica nel più ampio sistema culturale (o religioso).

La circoncisione rituale maschile, intesa in senso culturale, è strettamente legata ad una continuità culturale del gruppo, ad un alto valore associato alla mascolinità e ad una netta differenziazione tra il genere maschile e quello femminile, oltre ad un senso di appartenenza e identitario del gruppo. È inoltre collegata ad un alto valore attribuito allo status dell’individuo e all’età adulta, nettamente distinta dall’infanzia. Assume un ruolo importante all’interno di un contesto di negoziazione delle relazioni sociali tra e all’interno dei diversi generi e generazioni.
Da un punto di vista religioso, la circoncisione si inserisce in un più ampio contesto che attribuisce grande importanza ai riti religiosi, all’appartenenza alla religione stessa, al rapporto con Dio e con la fede professata.

4. La pratica è essenziale (alla sopravvivenza del gruppo), obbligatoria o facoltativa?
Dipende dal contesto in cui è praticata. Per quanto riguarda la circoncisione culturale in alcuni gruppi viene considerata obbligatoria sia da un punto di vista personale che comunitario. Non essere circoncisi potrebbe portare all’esclusione sociale e alla perdita di un certo status. In altri casi, la pratica è facoltativa e aperta alla scelta personale: la frequenza con cui si sceglie di praticarla mostra che si tratta di un automatismo, un uniformarsi alla maggioranza. Negli Stati Uniti è facoltativa, ma esiste un forte habitus sociale che porta a praticarla.
Nel caso in cui si tratti di circoncisione religiosa, la pratica viene ritenuta obbligatoria per quanto riguarda l’ebraismo, in quanto parte essenziale dell’appartenenza alla religione stessa e per i Cristiani Copti. Per la religione islamica è obbligatoria solo tra una delle sei scuole islamiche, quella shafi’ita, mentre nelle altre rimane una pratica tradizionale fortemente incoraggiata, in quanto fondamentale per poter compiere il pellegrinaggio alla Mecca, uno dei pilastri della religione musulmana.
 
 
5. La pratica è condivisa dal gruppo o è contestata?
Si può dire che la pratica della circoncisione sia generalmente condivisa dal gruppo di appartenenza, anche se tra gli ebrei, i musulmani e gli americani laici sono in aumento i movimenti di attivisti che chiedono di porre fine a questa pratica, sostenendo che si tratta di una violazione dei diritti dei bambini. Soprattutto negli Stati Uniti, dove circa l’80% degli uomini è circonciso, la pratica della circoncisione è stata ed è oggetto di controversie e dibattiti e viene talvolta contestata su basi etiche o mediche. Sul piano medico, viene contestato il rapporto danni/benefici (benefici raggiungibili attraverso regolare igiene e profilassi), le potenziali ricadute sulla sessualità (essendo il prepuzio parte dell’altamente innervato sistema cutaneo del pene la sua rimozione ridurrebbe il piacere sessuale) e l'eventuale insorgere di complicanze, dovute soprattutto al modo in cui viene praticata la circoncisione (luogo in cui viene effettuata, strumenti utilizzati, età del bambino e professionalità del circoncisore). Da un punto di vista etico, la pratica viene talvolta contestata in quanto porta ad un’alterazione anatomica possibilmente lesiva per un minore, il cui consenso viene dato dai genitori, e per la modifica permanentemente e irreversibile dell’organo genitale.
 
6. Come si comporterebbe la persona media appartenente a quella cultura (o religione)?
I genitori appartenenti ai gruppi nei quali la pratica è eseguita farebbero circoncidere il bambino.
7. Il soggetto è sincero?
In questo caso la sincerità del soggetto è da accertare su due piani: l’esistenza di determinate convinzioni culturali e/o religiose e la non sussistenza di una volontà lesiva nei confronti dei minori o di forme di violenza ingiustificata. Per un’indagine su entrambi gli aspetti sarebbe utile accertare:
  • il valore della circoncisione nel sistema culturale o religioso del soggetto;
  • le modalità di esecuzione ed eventualmente i motivi che hanno condotto a effettuare l’intervento in condizioni di scarsa sicurezza: le condizioni sociali ed economiche dei soggetti coinvolti; la sussistenza o meno, nel luogo in cui il fatto si verifica, di un sistema di partecipazione alla spesa, anche regionale, per lo svolgimento dell’intervento chirurgico in strutture adeguate;
  • la buona fede del genitore e la sua convinzione di essersi affidato a un soggetto dotato di competenza in materia, anche se non medico, perché magari riconosciuto come tale all’interno comunità di appartenenza. 
8. La ricerca dell’equivalente culturale. La traduzione della pratica della minoranza in una corrispondente pratica della maggioranza (italiana). ​
La pratica della circoncisione maschile non è particolarmente diffusa in Italia, al di fuori delle comunità religiose in cui viene prescritta. È vero, tuttavia, che si possono trovare dei parallelismi, esclusivamente sul piano simbolico di gendering del corpo, con la consuetudine di fare i buchi alle orecchie delle bambine già poco dopo la nascita. Tale pratica, così come viene spesso intesa la circoncisione maschile, è un processo volto a preparare la bambina ad assumere pienamente il suo genere femminile. Se pur comparabili sul piano simbolico, è vero però che le implicazioni a livello fisico ed etico (e potenzialmente anche psicologiche) sono estremamente differenti, trattandosi nel caso della circoncisione di un intervento su un organo genitale.
Un ulteriore corrispettivo si può trovare negli interventi chirurgici estetici sui minorenni (ad esempio gli interventi di chirurgia plastica al seno). Se è pur vero che nel caso degli interventi estetici vi è l'espressione del consenso da parte del/lla minore in questione, è però possibile che vista la minore età, questi non siano pienamente consapevoli delle implicazioni fisiche/psicologiche possibilmente derivanti dall’intervento cui si sottopongono.
 
9. La pratica arreca un danno? ​
La circoncisione maschile si configura oggettivamente come una alterazione all’integrità fisica del minore ed è ritenuta da gran parte della comunità scientifica un “atto medico”, che determina una modificazione anatomo funzionale dell’organo genitale maschile e che, pertanto, deve essere eseguita secondo determinate prassi chirurgiche, in condizioni ottimali di asepsi e igiene e da parte soggetti dotati di competenze professionali.
In Italia (Comitato Bioetico Nazionale, 1998) è ritenuta compatibile con la disciplina civilistica degli atti di disposizione del proprio corpo per la sua incapacità di causare una diminuzione permanente dell'integrità fisica del pene. L'argomentazione principale del Comitato italiano di Bioetica è che la circoncisione non comporta una diminuzione apprezzabile e permanente delle funzioni dell'organo interessato (la funzione individuata è il compimento dell'atto sessuale) e non è dannosa, in termini di effetti, sullo stato fisico e mentale del bambino o dell'individuo che la subisce.
In sintesi, nell'ordinamento giuridico italiano non è la pratica in sé a provocare un danno, ma la sua esecuzione da parte di persone di dubbia competenza e/o in contesti non idonei, come ad esempio in casa. È in questi casi che dalla pratica possono derivare conseguenze come lesioni permanenti e, nei casi più gravi, anche se particolarmente rari, la morte.   
Alcuni studi medici hanno evidenziato una certa efficacia della pratica come misura addizionale di prevenzione dello sviluppo di talune infezioni di natura batterica o virale, della trasmissione dell’HIV o altre malattie sessualmente trasmissibili. Tuttavia, secondo la comunità scientifica, non è possibile ad oggi affermare con certezza né l’efficacia profilattica della circoncisione né una sua capacità lesiva permanente rispetto alle funzioni dell’organo genitale maschile.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, seppure non indicandola come pratica raccomandata, la definisce come quasi totalmente innocua e a basso rischio, soprattutto se praticata in età neonatale.
Contro questa argomentazione, alcuni studi medici hanno osservato che l'asportazione del prepuzio riduce il piacere sessuale e che "il prepuzio è un organo sessuale a sé stante, che viene ablocato per sempre dall'atto della circoncisione" (Ball 2006: 177). Poiché la funzione del pene non è solo quella di compiere un atto sessuale, ma anche di trarne piacere, la pratica dovrebbe essere considerata dannosa, in quanto diminuisce il piacere sessuale.
 
 
​10. Che impatto ha la pratica della minoranza sulla cultura, valori costituzionali, diritti della maggioranza (italiana)?
La pratica della circoncisione maschile è percepita dal gruppo ospite con una generale diffidenza. A differenza di quanto accade, ad esempio, negli Stati Uniti o nel Regno Unito, non risulta particolarmente diffusa nella popolazione europea se non appunto tra alcune minoranze.
Questa diffidenza si appiana leggermente quando la pratica è inserita in contesti religiosi minoritari che trovano un riconoscimento più o meno consolidato nella società, come quelli ebraici o musulmani: in questo caso si tende ad accettare il fatto che la pratica determini l’appartenenza a quel gruppo religioso, e quindi sia effettuata per motivi strettamente religiosi.
Tale diffidenza si accentua invece quando la pratica è inserita in contesti culturali e religiosi differenti da quelli richiamati, come ad esempio tra le popolazioni dei migranti provenienti dall’Africa, talvolta appartenenti anche a culti cristiani. In questo caso la circoncisione appare come un trattamento imposto ai minori, in ossequio a tradizioni retrograde e scarsamente rispettose del benessere dei più piccoli oltre che potenzialmente pericolose.
La pratica non si ricollega soltanto a valori inerenti alla sfera di intangibilità fisica e della salute del minore ma intercetta anche la libertà religiosa e l’identità culturale, del minore e del genitore, giungendo sino a toccare il tema della trasmissione tra genitori e figli di un sistema di valori, culturali e religiosi e degli eventuali limiti.
Sul piano giuridico la circoncisione maschile è riconducibile alla disciplina degli atti di disposizione del proprio corpo di cui all’art. 5 del c.c. e ritenuta compatibile con i limiti da esso stabiliti (diminuzione permanente dell’integrità fisica, buon costume e ordine pubblico) se eseguita lege artis da personale medico competente (ad eccezione di quella ebraica che viene eseguita dal “mohel” un ministro di culto appositamente formato e autorizzato e per il quale è stata da poco predisposta anche l’iscrizione in un albo) e in strutture adeguate.
La circoncisione effettuata per motivi religiosi (islam, ebraismo) è ritenuta espressione del diritto alla libertà religiosa, di cui all’art. 19 Cost. e, quando praticata sui propri figli per espresso volere dei genitori, attuativa del diritto e dovere di questi ultimi di educare la propria prole anche dal punto di vista morale e religioso, tutelato dall’art. 30 della Cost. e 147 del c.c.
La circoncisione effettuata per ragioni “etniche-culturali”, non è ritenuta espressione di una libertà religiosa, tuttavia, potrebbe essere suscettibile di essere ricondotta ai diritti genitoriali sopra richiamati e in ogni caso, vista l’evoluzione giurisprudenziale in materia di diritti culturali, espressione di questi ultimi, ritenuti anch’essi costituzionalmente protetti (art. 2 Cost. e altri).
Sul piano penale, la condotta lesiva oggettivamente posta in essere dal soggetto circoncisore e dai genitori del minore per ragioni religiose è ritenuta scriminata dall’esercizio del diritto di libertà di culto e dalla disciplina del consenso.
La circoncisione etnica-culturale non si ritiene scriminata: l’esecuzione dell’intervento da parte di personale non medico e al di fuori delle strutture sanitarie comporta il reato di esercizio abusivo della professione, ex art. 348 c.p., estendibile per concorso anche al genitore che ha autorizzato l’atto, in aggiunta ad altri eventuali reati riguardanti l’integrità fisica in caso di danni conseguenti all’operazione (lesioni, omicidio).
Il fatto risulta sempre perseguibile in caso di negligenza, imperizia e imprudenza e laddove derivino conseguenze gravi e permanenti per il minore.
 
11. La pratica perpetua il patriarcato?
Sulla base dei significati sopra descritti la pratica non sembrerebbe perpetuare il patriarcato principalmente perché è una pratica destinata al genere maschile e in questo senso non agisce sulla sfera dei diritti delle donne. Tuttavia, non sono mancate posizioni che vi hanno ravvisato elementi patriarcali.
Una prima posizione è interna al femminismo ebraico e sostiene che la pratica determinerebbe una posizione privilegiata degli individui di sesso maschile rispetto alle donne, proprio in virtù della particolare cerimonia di alleanza e di ingresso nella comunità religiosa, prevista per i primi e non per le seconde. Secondo questa visione, la pratica, forse più di ogni altra, metterebbe in evidenza l'intensa qualità di genere dell'ebraismo rabbinico tradizionale, concentrando l'attenzione sul pene.
Una seconda posizione sostiene che la circoncisione perpetua una forma di patriarcato che si espleta in una forma di controllo dei padri sui figli i quali non possono decidere e si trovano il corpo perennemente segnato a causa della decisione genitoriale.
All’interno di tale posizione è stato rivelato che la tolleranza verso la circoncisione maschile dà luogo ad una discriminazione inversa in quanto determina un livello minore di tutela dell’integrità fisica per gli individui di genere maschile rispetto a quelli di genere femminile protetti dal divieto delle mutilazioni genitali femminili. Secondo tale posizione entrambe le pratiche sono patriarcali ed andrebbero proibite. All’interno del femminismo ebraico, ad esempio, è stata avanzata la proposta di equiparare la posizione di bambini e bambine prevedendo che l’attuale cerimonia del nome (una festa minore e riservata al genere femminile con cui le bambine ricevono il loro nome e vengono accolte nella comunità ebraica) venga estesa anche ai neonati maschi, parificando quindi le posizioni. In tal modo si eliminerebbe il doppio risvolto patriarcale della circoncisione: l’esaltazione del solo bambino maschio come protagonista dell’alleanza con Dio e il segno permanente sul corpo deciso dai genitori senza il consenso del figlio.
 
12. Che buone ragioni presenta la minoranza per continuare la pratica? Il criterio della scelta di vita ugualmente valida.
Le buone ragioni che presenta la minoranza per continuare la pratica possono essere così riassunte.
In primo luogo, in adesione a quanto definito sopra, eseguire la pratica diviene per le minoranze una necessità di appartenenza a quel gruppo culturale e/o religioso: segna l’ingresso in una comunità religiosa, sugellando talvolta una forma di alleanza con il proprio dio (si pensi al caso ebraico e a quello islamico); determina l’ingresso in una comunità culturale (come nel caso di alcune minoranze di provenienza africana), l’accesso ad un intero sistema di valori; definisce e orienta l’individuo verso il ruolo che assume all’interno della propria comunità (funzione di gendering). In secondo luogo, quando effettuata sui minori tramite il consenso dei genitori, costituisce l’espletamento di quel diritto e dovere dei genitori di educare la propria prole in base a un determinato sistema culturale, religioso e valoriale, senza il quale verrebbe meno la trasmissione di un senso di appartenenza ad una determinata comunità e potenzialmente la comunità stessa.
In un sistema giuridico dove l’esercizio di tali diritti è reso più forte dal riconoscimento da parte della Cassazione dei diritti culturali come inviolabili (sez. III penale, 29 gennaio 2018, n. 29613), la scelta di eseguire la pratica si pone come alternativa ugualmente valida: essendo la circoncisione riconosciuta a livello internazionale come una pratica che seppure invasiva non determina diminuzione permanente dell’integrità fisica del minore, ricade all’interno del limite sancito per l’esercizio dei diritti culturali.

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