ANTHROJUSTICE
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Gua Sha/coining e coppettazione

(medicina tradizionale est

asiatica) 


Approfondimenti giuridici 

La coppettazione e il Gua-sha/coining, non sembrano aver ad oggi assunto un ruolo di rilievo nella giurisprudenza italiana o europea. Sono però presenti in letteratura (Morton, 2002; William Y. Chin, 2005; Renteln, 2010;) richiami a casi giudiziari verificatisi negli Stati Uniti tra gli anni ’80 e 2000, in cui tali pratiche sono state spesso interpretate in maniera equivoca come veri e propri abusi sui minori. Per quanto riguarda coining e Gua-sha viene citato un caso risalente al 1994, in cui una madre vietnamita è accusata di condotte abusanti sul proprio figlio, salvo poi il ritiro delle accuse dopo la testimonianza di un assistente sociale vietnamita che riconosce nei segni la pratica di cura tradizionale del coining (Morton, 2002). Sempre negli USA, nel 2002, quattro bambini di etnia Hmong vengono preventivamente allontanati dai propri genitori in base ai medesimi sospetti, ma poi anche in questo caso le accuse decadono quando si accerta medicalmente il trattamento di coining (Morton, 2002); lo stesso avviene nel caso di altri due genitori cinesi che avevano praticato il Gua-sha sul proprio figlio e che sono poi scagionati dalle accuse di abuso grazie all’intervento nel processo di alcuni conoscitori della pratica (Corwin, 2000). 
Per quanto riguarda la pratica della coppettazione, si riporta un caso risalente al 1983, sempre negli Stati Uniti, in cui due genitori provenienti dalla Repubblica Centro Africana, furono processati per aver eseguito tale pratica sulla propria figlia. Il giudice, pur ritenendo la coppettazione una pratica di cura non accettata in America, statuisce il rientro della minore nella famiglia, dopo un allontanamento temporaneo, non riconoscendo la condotta di abuso (In re Jertrude O., Maryland Court of Special Appeals, 1983).
È assai probabile che in una società multiculturale, quale quella odierna, gli operatori socio assistenziali (insegnanti, educatori, assistenti sociali) e del diritto (soprattutto quelli operanti nei primi gradi di giurisdizione) abbiano avuto o possano in futuro avere contatti con queste pratiche. Ciò potrebbe aver luogo nei procedimenti che interessano la valutazione delle competenze genitoriali e hanno ad oggetto nuclei familiari immigrati oppure anche in contesti più gravi, inerenti a sospetti abusi sui minori da parte dei propri familiari. Queste pratiche di medicina tradizionale, infatti, lasciano evidenti segni sul corpo e si prestano per questo ad essere scambiate, in un primo momento, come forme di abuso, soprattutto in quei casi in cui non si abbia conoscenza alcuna della pratica, dei suoi fini ed effetti.
In queste ipotesi si potrebbe determinare un conflitto tra il principio dell’integrità fisica e psichica del minore e alcuni diritti dei genitori quali quello di trasmettere la propria cultura alla prole, tramandando anche le pratiche di cura tradizionale, o come quello di decidere i trattamenti sanitari da effettuare su propri figli, anche in ambito di “automedicazione”. 
A meno che non si tratti di contesti disfunzionali e viziati da dinamiche di violenza, si potrebbe trattare però di un conflitto apparente, facilmente superabile. Le pratiche in esame, infatti, se eseguite a regola d’arte come prescritto dalle stesse culture di appartenenza[1], non determinano lesioni permanenti dell’integrità fisica dei minori, risultando compatibili con quanto prescritto dall’art. 5 del c.c.: esse, infatti, lasciano soltanto dei segni, molto simili a lividi, destinati a sparire in pochi giorni ed effetto finale del trattamento. Il coining e la coppettazione, come pratiche di medicina tradizionale, sono parte integrante del bagaglio culturale di alcune minoranze, una forma di manifestazione del singolo non solo nella propria comunità ma nella realtà familiare, e pertanto suscettibili di trovare tutela nell’art. 2 della Costituzione italiana. Infine, tali pratiche richiamano il diritto dei genitori di trasmettere il proprio patrimonio culturale alla propria prole, un patrimonio che resterebbe incompleto se privato della loro conoscenza e sperimentazione in quanto i minori non riuscirebbero a comprenderne il significato ed apprenderne le modalità di esecuzione.
Il diritto alla salute, di cui all’art. 32 Cost. potrebbe essere utilizzato come parametro di valutazione della compatibilità di queste pratiche rispetto all’interesse del minore. Si tratta infatti di modalità curative che nella maggior parte dei casi non vengono ritenute sostitutive dei trattamenti sanitari convenzionali, ma vengono utilizzate per curare malesseri temporanei come raffreddori o condizioni febbrili transitorie. Tali pratiche non implicano, dunque, un divieto specifico di accedere ad altre tipologie di cure farmacologiche o ospedaliere, come invece accade in alcuni gruppi religiosi che, in ragione del proprio credo, rifiutano di ricevere trattamenti sanitari particolari come le trasfusioni. Il danno fisico, individuabile nei segni lasciati dal trattamento o nel dolore che può essere provato dal minore durante l’esecuzione del Gua sha o della coppettazione, è strettamente personale e dipendente dalla percezione del singolo, ma in ogni caso non può essere utilizzato per stigmatizzare la pratica, in quanto si compone di due elementi – il dolore momentaneo durante il trattamento e i segni lasciati da esso successivamente – che sono in realtà tipici della maggior parte dei trattamenti sanitari che si impongono ai minori, soprattutto se questi sono eseguiti in tenera età, da quelli più invasivi a quelli apportati nei contesti di automedicazione familiare (ingestione pasticche, gocce o sciroppi, subire iniezioni, apporre disinfettante su ferite etc.).
Si potrebbe obbiettare che nel caso del Gua sha e della coppettazione il dolore inferto non possa essere giustificato dalla efficacia del trattamento, questo però porterebbe ad annullare la tutela di qualsiasi valenza anche spirituale dei rimedi familiari e tradizionali, diffusi in tutte le culture, anche in quella maggioritaria, ad ignorare il valore profondo che si cela dietro ai gesti di cura tradizionali, tramandati di generazione in generazione, a misconoscere che il rafforzamento del rapporto di cura tra genitori e bambini passa anche attraverso queste gestualità. 

È inoltre bene evidenziare che il Gua sha e la coppettazione sono trattamenti che non prevedono l’utilizzo di elementi farmacologici e in questo senso sono molto meno invasivi di alcune pratiche di automedicazione diffuse nella società odierna, aventi oramai una veste farmacologica, spesso somministrate senza alcun consulto medico perché acquistabili senza prescrizione.
La condanna di questi trattamenti per il fatto che lasciano dei segni sul corpo, anche se guaribili in pochi giorni, risponderebbe a un paradigma monoculturale (Renteln, 2010) incurante della reale consistenza delle pratiche, della loro valenza culturale, ma altresì non rispettoso dell’interesse del minore, soprattutto quando i sospetti diano adito al suo allontanamento dal nucleo familiare, generando traumi indelebili anche se temporanei e suscettibili di trovare tutela nel diritto alla vita privata familiare ai sensi dell’art. 8 della CEDU.L'altra giurisprudenza che potenzialmente queste pratiche potrebbero originare è quella di genitori che scelgono di curare i propri figli soltanto con quei rimedi, senza ricorrere alla biomedicina occidentale, e viene causato un danno alla salute del bambino. Il caso, al momento, non si è verificato nei tribunali italiani. Lasciando al giudice la valutazione di tutti i fatti (ad esempio, la famiglia era consapevole che il bambino era a rischio? I genitori potevano avere in mente l'opzione di portare il bambino in un ospedale occidentale?), in generale quando la minoranza riteneva sinceramente che la medicina tradizionale fosse la soluzione migliore, questo dovrebbe essere preso in considerazione nella sentenza. Dato il livello di riconoscimento della medicina tradizionale dell'Asia orientale (vedi sotto gli approfondimenti antropologici), è una scelta altrettanto valida quella di curare il proprio figlio esclusivamente con la medicina tradizionale, così come quella di curare il proprio figlio esclusivamente con la medicina occidentale lo è per i genitori italiani.
In Italia la medicina occidentale è quella ufficiale, l'unica riconosciuta come scientificamente provata. Sebbene il sistema di cura consenta altri tipi di trattamenti (ad esempio omeopatia, riflessologia, agopuntura, rimedi popolari ecc.), l'Italia ha di fatto un paradigma che potremmo chiamare “monomedico” in cui cioè l'unica medicina scientificamente provata è la biomedicina. Pertanto, nei casi in cui la salute del bambino è compromessa, il giudice tiene conto del fatto che il genitore diligente è quello che porta il bambino da un medico ufficiale. Mentre da un punto di vista legale solo il legislatore può cambiare tale status quo, da un punto di vista filosofico, volto a migliorare il dialogo interculturale, sarebbe sicuramente interessante esplorare questa domanda provocatoria: dato il beneficio riconosciuto alla medicina tradizionale dell'Asia orientale non potrebbe essere interpretata come negligenza da parte dei genitori occidentali ricorrere solo ed esclusivamente alla medicina occidentale?
Questa domanda provocatoria potrebbe sorgere soprattutto quando si considerano gli effetti collaterali, le complicazioni e le morti ingiuste che sono comunque presenti nello stesso sistema medico occidentale.
Migliaia di pazienti muoiono ogni anno a causa della medicina occidentale, sia per semplice negligenza, sia per la mancanza di adeguate condizioni igieniche, a volte anche quando il trattamento è realizzato a regola d’arte, semplicemente perché anche la medicina occidentale non è infallibile. In caso di negligenza, il medico o l'ospedale possono essere citati in giudizio, ma non è mai successo che un genitore occidentale sia citato in giudizio perché, in buona fede, ha portato il proprio figlio in un ospedale occidentale. Si potrebbe riflettere se non ci sia un doppio standard nel modo in cui l'Italia e l'Occidente in generale affrontano la questione delle cure dovute dai genitori? Forse su di un piano astratto sì, sì potrebbe ritenere che in mondo globale che offre numerosi rimedi medici certificati tutte le cure ufficialmente riconosciute vadano tentate e quindi anche quelle est-asiatiche, ma è anche vero che in sede giudiziale la media diligenza dei genitori viene misurata sulla base di quelli che sono gli standards da essi conoscibili nella propria sfera culturale e di conoscenza scientifica di base accolta nel sistema di provenienza. Questo stesso ragionamento potrebbe aiutare il giudice anche ad una migliore valutazione del comportamento dei genitori appartenenti a culture differenti per statuire ad esempio delle attenuanti.
In prospettiva, se un altro sistema di medicina si sarà dimostrato scientificamente valido, come accade ad esempio nel caso della medicina dell'Asia orientale e di altri tipi di medicina allopatica, sarebbe importante aumentare le opportunità per bambini e adulti di essere curati con un sistema medico plurale.


 
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NoTE

[1] Il manuale di medicina cinese in relazione al Gua-sha prescrive ad esempio all’esecutore di essere cauto nell’esercizio di questa pratica e osservare le espressioni del paziente mentre lo si esegue (A Bare Foot Doctor's Manual: The American Translation of the Official Chinese Paramedical Manual 80 (1977). 

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