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Ramadan 

Approfondimenti giuridici 

Nel dibattito pubblico italiano il Ramadan è stato spesso ricollegato ad una riduzione della produttività e/o della prestazione lavorativa, ma anche a problematiche legate alla salute e alla sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro. 
In ambito sportivo, ad esempio, la scelta di alcuni professionisti di religione musulmana di osservare la pratica in determinati momenti delle competizioni, soprattutto quelle calcistiche, è stata spesso oggetto di preoccupazione da parte delle società[1]. Problematiche ancora maggiori sono sorte nell’ambito del lavoro agricolo o edilizio, soprattutto in relazione al rifiuto da parte dei lavoratori di bere e idratarsi durante le ore più calde, in ossequio alla pratica[2]. 
In altri casi ci si è interrogati sulla possibilità che la pratica possa essere osservata o meno dagli adolescenti e sulla sua compatibilità con gli impegni scolastici e di studio[3]. 
Sul piano giuridico, dunque, la pratica del Ramadan richiama in causa il diritto alla libertà religiosa, talvolta anche la sua “esternazione”/“dimensione” pubblica, il suo impatto sull’ambiente lavorativo, scolastico e sulla produttività. La pratica del Ramadan è un momento intenso di spiritualità e sacrificio che coinvolge la quotidianità dei fedeli musulmani per tutta la sua durata. Questa pratica religiosa si confronta però con uno stile di vita, quello della cultura maggioritaria, spesso iperperformante e in cui i momenti dedicati alla spiritualità assumono uno spazio ridotto, risultando per lo più relegati alla vita privata, poco esternati nei luoghi di lavoro o di studio. 
Non è possibile trarre soluzioni da un’eventuale giurisprudenza specifica sul tema dal momento che la stessa risulta piuttosto scarna sia in ambito internazionale che interno[4]. Soprattutto per quanto riguarda l’ambito lavoristico è, infatti, assai probabile che questo tipo di problematiche siano trattate e risolte in ambito extragiudiziale, che rimangano un affare privato tra il lavoratore e il datore di lavoro o addirittura che il lavoratore cerchi di risolverle individualmente, senza sollevare obiezione alcuna, per il timore che eventuali richieste possano compromettere il rapporto di lavoro. 
Tuttavia, da un punto di vista normativo possono essere individuati molteplici punti fermi in grado di orientare l’interprete nel tentativo di conciliare le esigenze religiose legate al Ramadan e l’attività lavorativa. Nell’ordinamento italiano uno di questi è sicuramente rappresentato dalla libertà religiosa, garantita dall’art. 19 Cost. ma soprattutto dal principio di laicità dello Stato, che secondo la giurisprudenza costituzionale ha il suo fondamento negli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione e ha una natura “positiva” che non prevede l’indifferenza dello Stato rispetto all’affare religioso ma richiede una sua attivazione per garantire l’effettiva libertà religiosa, nelle sue manifestazioni collettive, individuali, private o pubbliche, soprattutto in un’ottica di attuazione di un pluralismo confessionale e culturale (Corte Cost. n. 203 del 1989).
Anche le disposizioni sul divieto di discriminazioni nei luoghi di lavoro forniscono indicazioni utili al dibattito. La normativa italiana sul tema è arricchita da quella europea. Particolarmente significativa è la direttiva quadro 78/2000 in materia di lotta alle discriminazioni sul posto di lavoro, anche in materia religiosa (recepita da d. lgs 216/2003). Qui è esplicato il concetto di discriminazione indiretta, riconducibile a tutte quelle azioni o disposizioni che pur non essendo direttamente volte a discriminare un lavoratore per la sua fede religiosa ne determinano indirettamente una posizione di svantaggio; è sancita l’applicabilità anche ai soggetti che non sono cittadini europei; è richiamato il concetto di “azione positiva” degli Stati volta a garantire effettivamente la non discriminazione. La Cedu nell’art. 9 disciplina invece alcuni limiti alla libertà religiosa ribadendo che essi si muovono nell’ambito della proporzionalità.
La regolazione delle esigenze legate al Ramadan è resa più complicata dal fatto che a differenza di altri ordinamenti, come quello spagnolo (Decreto reale 1384/2011, del 14 ottobre, che sviluppa l'articolo 1 dell'Accordo di cooperazione statale con la Commissione islamica di Spagna, approvato con legge 26/1992, del 10 novembre), non esiste ancora un’intesa tra la rappresentanza musulmana e lo Stato italiano. Tuttavia, soprattutto in quelle realtà dove vi è una presenza elevata di lavoratori musulmani, aziende, datori di lavoro e lavoratori stessi hanno trovato soluzioni efficienti anche in assenza di una legislazione specifica, disciplinando attraverso accordi interni l’organizzazione lavorativa e adeguandola per quanto possibile a alle esigenze religiose, prevedendo particolari permessi in corrispondenza delle festività, flessibilizzando gli orari di lavoro, prevedendo pause particolari per la preghiera giornaliera islamica e predisponendo veri e propri spazi dedicati al culto nei luoghi di lavoro[5].
La sensibilità delle parti sociali e soprattutto dei datori di lavoro rimane ad oggi una delle soluzioni più efficienti: da un lato permette di garantire gli standard di sicurezza e di tutela della salute che l’ordinamento impone ai titolari delle aziende, prevenendo infortuni o incidenti dovuti al digiuno o all’esercizio della preghiera in luoghi di fortuna e pericolosi; dall’altro lato fidelizza i lavoratori, evitando malcontenti e preservando il buon andamento dell’attività lavorativa. Si tratta di buone prassi che realizzano a pieno le condizioni di laicità positiva e attuano vere e proprie forme di pluralismo confessionale, che estendono i loro effetti anche al di fuori degli ambienti lavorativi.
Si tratta però di problematiche che necessiterebbero di essere istituzionalizzate, soprattutto perché la realtà economica italiana si costituisce per lo più di piccole e medie imprese e queste spesso non hanno le risorse economiche e organizzative adatte a garantire gli accomodamenti necessari per l’esercizio della libertà religiosa.
note
[1] In https://www.gazzetta.it/Calcio/Champions-League/06-05-2019/champions-cominciato-ramadan-bel-problema-l-ajax-3301359937775_amp.shtml. Il tema è trattato in dottrina in Biasi M., Negri A. (2019).

[2] Il tema ha condotto l’INAIL a diffondere un fascicolo informativo per i datori di lavoro nel caso in cui alcuni dipendenti osservassero la pratica soprattutto se coincidente con i mesi più caldi. 

[3] In https://www.ilrestodelcarlino.it/ancona/cronaca/ramadan-ragazzino-13-anni-1.7586625 https://www.orizzontescuola.it/ramadan-a-scuola-e-salute-alimentare-cosa-dice-la-norma-quali-i-poteri-dei-sindaci-servono-linee-guida-per-aiutare-i-dirigenti/ 
 
[4] La pronuncia del Tribunale sez. I - Firenze, 20/06/2017, n. 2482 tratta di un procedimento penale in cui si stabilisce la responsabilità penale di tre imputati che sono i titolari di un’azienda, per violazione di norme in materia di sicurezza sul lavoro, in occasione di un danno provocato a un dipendente Z., di religione musulmana. L’elemento culturale non ha una portata centrale nella vicenda processuale ma un testimone molto vicino a uno degli imputati, richiama il Ramadan, per giustificare come in quei giorni il dipendente non fosse in condizioni fisiche ottimali, avendo avuto anche dei cali di zucchero mentre svolgeva lavori in quota, a causa del digiuno. L’osservazione non viene presa in considerazione e gli imputati sono condannati. L’uso del dato culturale è in questo caso pretestuoso; in Tribunale sez. lav. - Milano, 30/07/2014, n. 2519, un soggetto subisce un infortunio mentre trasporta con un furgoncino delle ceste di pane per l’azienda per cui lavora e ottiene dall’Inail il risarcimento del danno. Anche in questo caso l’elemento culturale è marginale. Dai fatti riportati in sentenza emerge che l’incidente è avvenuto alla fine del Ramadan e quindi potrebbe ipotizzarsi un collegamento seppure indiretto tra l’affaticamento protratto dalla pratica e l’incidente, mancando un qualsiasi adeguamento delle condizioni lavorative al digiuno, anche se questo elemento non è trattato nella pronuncia. In Tribunale Ancona, 20 Aprile 2022, il giudice dispone con ordinanza provvisoria relativa che la decisione sul poter osservare il Ramadan da parte di un’adolescente spetti alla madre, non musulmana. Trattata in https://www.ilrestodelcarlino.it/ancona/cronaca/ramadan-ragazzino-13-anni-1.7586625

[5] Molti di questi accordi e prassi sono evidenziate in alcuni articoli, consultabili online: https://st.ilsole24ore.com/art/economia/2010-08-10/affari-sprint-ramadan-080106.shtml ; https://www.ilgiornale.it/news/i-contratti-lavoro-allah-cosa-pretendono-islamici-1386779.html  In dottrina si veda Ricciardi Celsi (2015). In https://www.linkiesta.it/2012/07/la-fabbrica-veneta-con-moschea-aziendale/ , articolo del 25 Luglio 2012, si cita un’azienda di Castelfranco Veneto, provincia di Treviso, specializzata nella produzioni di attrezzi da giardini, che ha predisposto una moschea nei propri locali aziendali.

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