ANTHROJUSTICE
ENG | IT
  • Pagina principale
  • Test culturale
  • Vademecum
  • Chi siamo
Picture

Mutilazioni genitali femminili ​
 
Approfondimenti giuridici 

Il dibattitto sulla pratica delle mutilazioni genitali femminili si sviluppa a partire dagli anni ‘20 del 1900 e raggiunge una particolare incisività negli anni 2000, dando vita in ambito internazionale ad una serie di risoluzioni e documenti che evidenziano l’impatto della pratica sul piano dei diritti umani, ispirando molti degli interventi statali in tale ambito.
Ad oggi, tra i principali punti di riferimento in tema di MGF nel panorama del diritto internazionale spiccano sicuramente la normativa delle Nazioni Unite e quella del Consiglio d’Europa, soprattutto in relazione agli strumenti di lotta contro questo tipo di menomazioni e in tema di rapporti tra MGF e diritto di asilo[1] .
Le MGF e il diritto penale italiano 
​

In ambito penale, l’Italia ha criminalizzato le MGf con una norma ad hoc, l’art. 583 bis c.p. (L. 7/2006). Questa operazione è stata ritenuta da alcuni studiosi come una forma di chiusura alla diversità culturale: così come avviene per la circoncisione maschile[2], il fatto sarebbe potuto continuare ad essere perseguito mediante la disciplina semplice delle lesioni (artt. 582 e 583 c.p.), creando una minore diseguaglianza di trattamento rispetto all’equivalente “maschile” della pratica, soprattutto in relazione a quelle forme di intervento prive di una reale capacità lesiva dell’integrità fisica permanente (Mancini, 2017; Basile 2013).
Sino ad oggi l’applicazione di questa disciplina è stata minima. Dalla giurisprudenza esistente in materia si possono però comunque evincere alcune logiche interpretative che in tema di bilanciamento dei diritti coinvolti, rivelano una tendenza giudiziale a distinguere tra MGF più o meno gravi. Il primo caso[3] trattato dalle Corti italiane immediatamente dopo l’entrata in vigore della legge riguardava una madre Nigeriana di etnia Edo-bini che si era rivolta a un ostetrica “tradizionale” per far eseguire sulla propria figlia neonata un piccolo intervento di incisione (l’arué), ritenuto poi dalle perizie mediche scarsamente lesivo dell’integrità fisica della minore, in quanto seppure in grado di determinare una malattia, non idoneo a realizzare una forma di indebolimento permanente dell’organo sessuale.
Nel procedimento hanno assunto particolare importanza il grado di lesività della pratica rispetto al bene dell’integrità fisica e della salute, accertato mediante perizia medica, e l’analisi antropologica delle motivazioni che hanno sorretto il comportamento della madre, approfondito attraverso l’audizione, proposta dalla difesa, di alcuni testimoni qualificati quali: un docente universitario di antropologia dell’educazione; una docente universitaria di pedagogia della mediazione; un sacerdote della Chiesa pentecostale, appartenente all’etnia degli Edo-bini (Basile, 2013).
Nel primo grado il raffronto tra la pratica culturale e il bene giuridico leso (integrità fisica del minore, salute del minore) ha influito notevolmente in sede di commisurazione della pena, mentre in appello ha condotto all’assoluzione della madre per carenza del dolo specifico richiesto dalla norma (II comma dell’art. 583 bis c.p.): assente, per i giudici, la volontà di menomare le funzioni sessuali della minore, viste le ragioni in ossequio alle quali la madre aveva sottoposto la figlia all’intervento (funzione di umanizzazione, funzione identitaria, funzione di purificazione).
Il secondo caso[4] riguarda invece una madre egiziana residente in Italia che nel 2007 fa sottoporre le due figlie minorenni a un intervento di escissione durante una vacanza nella terra di origine. Seppure trattato in maniera differente il fattore culturale ha comunque influito in modo sostanziale sulla diminuzione della pena. Le ragioni culturali che avevano spinto la donna ad agire vengono ritenute “recessive”, rispetto a beni giuridici tutelati dalla Costituzione italiana e inerenti ai diritti fondamentali dell’individuo, né viene ritenuta sussistente l’ignorantia legis scusabile, rispetto al divieto previsto dalla legge italiana. L'equilibrio individuato dal giudice tra i diritti in gioco sarebbe potuto essere ancora più effettivo attraverso una sua esplicitazione in pronuncia anche a livello “comunicativo”, evidenziando maggiormente il grado di lesività della pratica, che sicuramente ha giocato un ruolo fondamentale nelle valutazioni del giudice. Il bilanciamento effettuato si sarebbe mostrato più ancorato al principio di offensività, trattandosi in questo caso di una pratica gravemente lesiva dell’integrità fisica e della salute delle minori, e a parità di soluzioni sarebbe stato più aderente al pluralismo che la società multietnica richiede, più rispondente a un’ottica di composizione del conflitto, piuttosto che a un’esacerbazione dello stesso sulla base dell’assunto universale che spetta ad ogni migrante conformarsi alla cultura maggioritaria. 
​
Le MGF e la protezione internazionale 
​

La legge n. 7/2006 non prevede la concessione dello status di rifugiato o di altre forme di protezione internazionale alle vittime di MGF, nonostante ciò fosse stato inizialmente previsto nella bozza dell’art. 5. Tuttavia, nell’ambito della protezione internazionale vale la pena evidenziare talune “buone prassi” che la Corte di legittimità sta attuando, sia sul piano della natura giuridica delle MGF rispetto alla disciplina della protezione internazionale, sia sulle modalità di espletamento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, tutte utili a orientare l’operato di commissioni territoriali e corti di merito[5].

​
Secondo alcuni orientamenti, il rischio di subire le MGF (o una loro reiterazione) è suscettibile azionare forme di protezione importanti come quella sussidiaria, ai sensi dell’art. 14 lett. b) (d. lgs. 251/2007) o addirittura lo status di rifugiato: le MGF integrano una forma di danno grave all’integrità fisica e psichica della donna e alla sua salute; possono corrispondere a veri e propri trattamenti inumani e degradanti; costituiscono una forma di atto persecutorio per appartenenza a un determinato gruppo sociale (il genere femminile); sono in grado di attivare anche la tutela più elevata dello status di rifugiato “se il fenomeno è praticato, nel contesto sociale e culturale del Paese di provenienza, al fine di realizzare un trattamento ingiustamente discriminatorio, diretto o indiretto” (Cass. Civ. sez. lav. - 16/02/2022, n. 5144; Cassazione civile sez. I - 25/10/2021, n. 29971).
Le donne soggette a questo tipo di trattamenti sono da considerare vittime di violenza (ex art. 17 d.lgs. 142/2015), incluse nella categoria di persone con esigenze specifiche (Cass. Civ. sez. VI - 12/01/2023, n. 762).
In ordine all’espletamento della cooperazione istruttoria si afferma l’esigenza di una valutazione completa dei contesti sociali di provenienza, in cui non possono rilevare solo dati formali quali: quadro normativo statale, divieto di MGF imposto dalla legge; facoltatività/obbligatorietà della pratica nel gruppo etnico-religioso di appartenenza. È opportuno effettuare un’indagine approfondita che tenga conto della reale diffusione del costume sociale, della eventuale sussistenza di un “condizionamento collettivo” in base alla quale esso sia percepita comunque come doveroso (Cass. Civ. sez. I - 25/10/2021, n. 29971), nonché del grado di emarginazione sociale per i soggetti che decidano di discostarsene, il quale può acuire lo stato di vulnerabilità soggettiva (Cass. Civ. sez. VI - 15/07/2021, n. 2029). A questo proposito la Corte apre alla possibilità di riconoscere la protezione anche a soggetti di genere maschile che si siano opposti alla pratica perché contrari e in difesa di figlie o nipoti (Cass. Civ. sez. I - 15/12/2022, n. 36845, Cass. Civ. sez. I - 14/07/2022, n. 22234, Cass. Civ. sez. lav. - 16/02/2022, n. 5144, Cass. Civ. sez. VI - 15/07/2021, n. 20291, Cass. Civ. sez. I - 22/06/2020, n. 12220).
Inoltre, per la Cassazione il rischio non deve essere ritenuto inesistente solo perché le MGF sono state già effettuate, in quanto è possibile che le stesse vengano reiterate, ad esempio dopo la gravidanza (Cassazione civile sez. I - 28/10/2021, n. 30631). La Suprema Corte invita anche a considerare il pericolo del rimpatrio quando la richiedente è in stato di gravidanza, in quanto il sesso del nascituro potrebbe determinare l’acuirsi del pericolo in caso di genere femminile (Cassazione civile sez. III - 18/03/2022, n. 8980). 
 
In questo senso la giurisprudenza italiana risulta offrire una tutela più avanzata anche rispetto alle posizioni della Corte Edu che pur riconoscendo le MGF come una forma di tortura ha spesso declassato il pericolo come non attuale in caso di rimpatrio, valorizzando elementi che la Cassazione italiana ha invece ritenuto fuorvianti e non sintomatici della reale situazione di pericolo, anzi nei confronti dei quali ha messo in guardia i giudici di merito sulla base dei principi sopra richiamati[6].
 
 Quanto osservato in tema di MGF, fa emergere una riflessione. Se è vero che si tratta di pratiche rispetto a cui l’ordinamento giuridico ospitante è chiamato a fornire una forma di “protezione” dalla cultura è altrettanto fondamentale che, anche in questa azione di protezione, il dato antropologico assuma un ruolo fondamentale insieme alla considerazione della reale entità del danno per una strategia ottimale in punto di bilanciamento degli interessi in gioco, sia in ambito penale, che quando si opera nel settore della protezione internazionale. L’indagine antropologica “riempie” di contenuto i valori, istanze e diritti fondamentali coinvolti garantendo i diritti culturali, nella misura in cui non sono concretamente offensivi dei beni tutelati dalle norme e/o si pongano nel perseguimento dell’interesse del minore in ambito penale; valorizzando il meccanismo persecutorio che invece si attua rispetto agli individui che non condividono quelle pratiche culturali che non rispecchiano più un’alternativa di vita valida.
NOTE
[1] Tra tutte: La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (2011), entrata in vigore il 1° agosto 2014, ratificata dall’Italia con legge 77/2013, è il primo strumento giuridicamente vincolante specifico in questo campo. Tratta le mutilazioni genitali femminili all’art. 38 e adotta un concetto di “mutilazione” che si discosta leggermente dalla classificazione proposta dall’OMS perché esclude dalla categoria la quarta tipologia di MGF, e dunque le forme meno gravi; UNHCR, Nota orientativa sulle domande d’asilo riguardanti la mutilazione genitale femminile, 2009. Tra le risoluzioni si ricordano quelle del Parlamento Europeo corrispondenti agli anni 2009, 2011, 2012, 2014, 2018 e infine l’ultima del febbraio 2020_ Risoluzione del Parlamento europeo del 12 febbraio 2020 su una strategia dell'UE per porre fine alle mutilazioni genitali femminili nel mondo.

[2] A tal proposito si è parlato di una forma di “multiculturalismo «strabico», che spesso stigmatizza pratiche culturali come comportamenti penalmente rilevanti non necessariamente in base all’indice di offensività ma “a seconda della ritenuta maggiore o minore «prossimità» alla civiltà occidentale o a una certa morale o religione” (Caterina, 2020).

[3] Tribunale di Verona, 14 aprile 2010; Corte d’appello di Venezia 2012.

[4] Trib. Torino, sez. GIP, 30 ottobre 2018, n. 1626, Corta d’appello di Torino, sez. II, 26 febbraio 2020, n. 1410. Cass. Pen. sez. V - 02/07/2021, n. 37422. Si tratta di interventi di mutilazioni genitali poste in essere nei confronti di due sorelle minori di origine egiziana residenti in Italia, su consenso dei genitori. Gli interventi, effettuati contestualmente presso uno studio medico durante una vacanza nel Paese africano, hanno determinato in un caso asportazione delle piccole labbra e, nell’altro, l’exeresi del cappuccio clitorideo; per entrambi la consulenza tecnica ha evidenziato effetti invalidanti quali possibili limitazioni delle funzioni sessuali, a causa della recisione di alcune terminazioni nervose e possibili complicanze ostetriche.

[5] Cass. Civ. sez. I - 22/06/2020, n. 12220; Cass. Pen. sez. V - 02/07/2021, n. 37422; Cass. Civ. sez. VI - 15/07/2021, n. 20291; Cass. Civ. sez. I - 25/10/2021, n. 29971; Cass. Civ. sez. I - 28/10/2021, n. 30631; Cass. Civ sez. VI - 12/01/2023, n. 762; Cass. Civ. sez. lav. - 16/02/2022, n. 5144; Cass. Civ. sez. III - 18/03/2022, n. 8980; Cass. Civ. sez. I - 14/07/2022, n. 22234; Cass. Civ. sez. I - 15/12/2022, n. 36845.

[6] Le motivazioni della Corte Edu risultano anacronistiche rispetto all’avanzamento delle corti italiane e agli assunti raggiunti dal diritto internazionale e da quello interno ai vari ordinamenti. Oltre alla sola considerazione dei dati formali (quadro normativo, divieto penale di eseguire le pratiche, pratiche solo facoltative nel gruppo etnico di appartenenza), talvolta è messa in dubbio la credibilità delle richiedenti per non aver denunciato tempestivamente le MGF, in altri casi si valorizza la forza e l’emancipazione raggiunta dalle stesse dopo la fuga come un elemento sintomatico della capacità di opporsi a tali pratiche, una volta tornate in patria. Per la trattazione più ampia sul tema si consiglia Crescenzi (2021). Alcuni casi: Hirsi Jamaa e altri c. Italia [GC], ricorso n. 27765/09, sentenza del 23 febbraio 2012; R.W. e altri c. Svezia, ricorso n. 35745/11, decisione del 10 aprile 2012; Ameh e altri c. Regno Unito, ricorso n. 4539/11, decisione del 30 agosto 2011; Bangura c. Belgio, ricorso n. 52872/10, decisione del 14 giugno 2016; Sultani c. Francia, ricorso n. 45223/05, sentenza del 20 settembre 2007; Jabary c. Turchia, ricorso n. 40035/98, sentenza dell’11 luglio 2000; Izevbekhai c. Irlanda, ricorso n. 43408/08, decisione del 17 maggio 2011. Collins e Akaziebie c. Svezia, ricorso n. 23944/05, decisione dell’8 marzo 2007; H.L.R. c. Francia [GC], ricorso n. 24573/94, sentenza del 29 aprile 1997.

privacy policy - informativa privacy

As part of the Smart Justice research project:​ ​Tools and models to optimize the work of judges (Just-Smart)
Picture
Picture
Picture
Picture
Picture
Picture
Picture
  • Pagina principale
  • Test culturale
  • Vademecum
  • Chi siamo
  • Home
  • Cultural test
  • Guidebook
  • About