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Voodoo (rituals)

Approfondimenti antropologici 

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Vudù (riti) 

[La lettura di questo approfondimento presuppone la conoscenza dei contenuti presentati nel test culturale relativo a questa pratica]
Descrizione dettagliata della pratica. Spesso i rituali sono eseguiti da sacerdoti e sacerdotesse che evocano entità spirituali per ottenere guarigione, informazioni e influenza sulle forze naturali, e frequentemente sono caratterizzati dall’esecuzione di danze che accompagnano il momento dell’interazione con gli spiriti. Si ritiene che coloro che partecipano al rituale possano entrare in contatto con i loa, spiriti sovrannaturali con i quali l’essere umano può interagire e che risultano particolarmente importanti per i credenti, mentre la divinità suprema (Mawu) è troppo distante e non conoscibile. I loa svolgono un ruolo molto importante nella religione vudù in quanto, attraverso una continua e costante interazione con loro, i credenti possono orientarsi, comunicare con il divino e realizzare il proprio destino, al punto che si può dire che i loa dirigano la vita del praticante.
I rituali seguono delle prassi di preparazione ben definite, che variano a seconda del gruppo sociale dove si manifestano, e sono frequentemente accompagnati da dei sacrifici, spesso di animali, che servono per placare gli spiriti e per accattivarsi la loro benevolenza. Un rituale, per esempio, può prevedere che i praticanti suonino i tamburi, cantino e ballino per incoraggiare un loa a possedere uno dei loro membri e quindi a comunicare con loro. Le offerte ai loa includono spesso frutta, liquori e anche animali. In contemporanea, solitamente vengono fatte offerte anche agli spiriti dei morti. Ogni rito vudù ha un carattere unico e allo stesso tempo simile: nei riti nulla è esattamente uguale perché ogni rituale è visto come un'esperienza irripetibile, anche se è guidato da un ordine, una trama o un modello simile. Dal momento nel quale una persona, per vari motivi, entra in contatto con un sacerdote per un rituale, essi condividono uno spazio inedito, pieno di segni e materiali diversi, di piante, di pietre sacre, di odori e di sapori nuovi, in un'atmosfera che si svela a poco a poco e dove i canti assumono un ruolo di primo piano. Questa spiritualità non si riferisce solo alle idee trascendenti, ai costumi e alle visioni del mondo comunemente inclusi nel concetto piuttosto ambiguo di religione, ma anche a un ampio spettro che comprende sistemi di valori etici ed estetici, modelli e stereotipi di vario tipo, emozioni e intelligenza intuitiva o emotiva, visioni del mondo specifiche, abitudini e costumi.
I devoti che si dedicano a questo tipo di pratica ritengono che sia necessario che l'io lasci il corpo perché i loa possano possedere i fedeli predisposti alla possessione, e durante la pratica i posseduti sono soliti acquisire le movenze e le maniere dei loa spesso non ricordando nulla di quanto hanno detto o fatto una volta che si esce dalla trance. 
Nella sua fase iniziale, la trance si manifesta con sintomi di carattere puramente psicopatologico, riproducendo a grandi linee il quadro clinico degli attacchi isterici. I posseduti, all'inizio, danno l'impressione di aver perso il controllo del proprio sistema motorio, ma dopo essere stati scossi da convulsioni spasmodiche, vengono lanciati in avanti, girano all'impazzata, si irrigidiscono improvvisamente al loro posto con il corpo proteso in avanti, vacillano, si riprendono, perdono di nuovo l'equilibrio e infine sprofondano in uno stato di semi-svenimento. A volte questi attacchi si esprimono bruscamente, a volte sono annunciati da segni precursori come: un'espressione distratta e ansiosa, un leggero tremito, un respiro affannoso, sudore sulla fronte o il viso che assume un'espressione contorta e dolorosa. La natura dell'attacco nervoso dipende anche dalla condizione rituale del posseduto, ed è solito essere più violenta per chi ha poca esperienza. Il ritmo dei tamburi e l'intensità della danza costituiscono l'elemento di base del rito e la cornice propiziatoria per la "discesa" dei loa sui loro fedeli. 
 


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Autel sacrificiel-Musée Vodou
Ji-Elle, CC BY-SA 4.0, Sacrificial altar - Vodou Museum, via Wikimedia Commons.
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Danse du vodoun Sakpata l'occassion du 10 janvier 2020 04
Ahya ATINDEHOU, CC BY-SA 4.0, Dance of the Vodoun Sakpata on the occasion of January 10, 2020, via Wikimedia Commons.

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La morte vudù secondo Walter B. Cannon

 Nel 1942 il fisiologo Walter Bradford Cannon pubblicò un articolo dal titolo "La morte voodoo".[1] Il suo scritto, pur non essendo né un resoconto etnografico sul campo né una discussione di ipotesi antropologiche, ha creato un vivace dibattito nell’ambito scientifico antropologico e medico, che può essere interessante qui riportare per riflettere sul ruolo della paura in relazione ai riti vudù. 
"Voodoo death" è un articolo medico, un'indagine di fisiologia applicata a un oggetto di studio dell'etnografia.
 Cannon, difatti, utilizza i resoconti degli antropologi per riferirsi a un fenomeno "così straordinario e così estraneo all'esperienza delle persone civilizzate da sembrare incredibile":[2] gli uomini che sono sottoposti a riti vudù, stregoneria e ad altre forme di magia nera possono morire (e tanto è vero che in quasi tutti i casi che cita, muoiono). Che si tratti di guerrieri Hausa che credono di essere stati vittime di un incantesimo malvagio, di donne Maori che hanno mangiato frutti proibiti, di guidatori di canne Kanaka vittime di un incantesimo o di aborigeni australiani feriti con lance "maledette", vanno tutti incontro allo stesso destino: muoiono a distanza di poco tempo dal rituale. 
Il fisiologo si chiede allora se tali resoconti siano attendibili e se non vi sia un fattore "extra" che non sia stato considerato in queste morti, per esempio se queste persone non siano state in realtà avvelenate. Di fronte a questa possibilità, egli scarta momentaneamente i resoconti degli antropologi e concentra la sua attenzione sugli osservatori con formazione medica. 
Le comunicazioni epistolari con vari medici che lavoravano nella zona di questi villaggi, però, gli confermano che l'ipotesi dell'avvelenamento deve essere scartata: la morte può essere attribuita solo a uno stato di pressione sociale data dal rituale, e tale stato sarebbe caratterizzato, secondo Canon, dalla paura, una delle emozioni più radicate nell'organismo e che può essere associata a disturbi fisiologici molto gravi (un argomento che Cannon ha studiato a lungo e intensamente).
Successivamente Cannon fa riferimento perciò agli antropologi. Cita Lucien Lévi-Bruhl e William Lloyd Warner, e da quest'ultimo prende in prestito la sua teoria dei due comportamenti della comunità nei confronti di colui che è attore principale del rito vudù: radicale esclusione dalla vita sociale e successiva accettazione come appartenente al "sacro mondo totemico dei morti". Tutte queste premesse forniscono a Cannon la cornice per la domanda chiave, la questione che racchiude la sua convinzione e che apre al dibattito fra scienze: la paura può uccidere? 
Da qui in poi Cannon entra nel suo territorio, quello della fisiologia e dell’analisi della paura, sottolineando gli effetti deleteri dell'azione intensa e persistente della paura sull'eccitazione emotiva, e facendo riferimento alla sua esperienza come medico militare nella Prima Guerra Mondiale. L'articolo, difatti, per far comprendere al lettore occidentale in che modo la paura può giocare un ruolo determinante nello stato della salute psico-fisica, prosegue con la presentazione di casi di soldati terrorizzati in situazioni di guerra e su un caso di shock post-chirurgico dei soldati, ossia una serie di indicazioni cliniche dell'autore non contestualizzate in territori “altri” ma nel mondo occidentale. Cannon vuole dimostrare che il fenomeno non è un'esperienza "così estranea" alle persone occidentali, ma che "la morte voodoo può essere reale", e che si spiegherebbe con l'impatto fisiologico di una grande eccitazione emotiva, uno stato di paura intensa e persistente che si traduce in uno shock da eccitazione emotiva che si risolve in una condizione di ipovolemia che causa la morte.
Tutto ciò non è dimostrabile, secondo i criteri della scienza, né a livello medico né a livello antropologico. Probabilmente, quella di Cannon, è una provocazione che ancora oggi tiene vivo un interessante dibattito sulla “morte vudù”. Nel nostro caso, pensare al condizionamento della paura in relazione a eventi socialmente condizionati, ci può far riflettere su quanto le emozioni e le pressioni sociali siano comprensibili solamente contestualizzando il luogo nel quale si verificano, ossia andando a cercare di comprendere l’“altro” nel suo modo di pensare e di agire e applicando quello sguardo antropologico relativista che permette di entrare nella mentalità “altra”. 
NOTE
[1] Cannon, W. B., 1942, “Voodoo death”, in American Anthropologist, vol. 44, n. 2.

[2] Ibid., p. 169 ​


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