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Lutto, Sepoltura, Culto dei morti​

Approfondimenti antropologici

[La lettura di questo approfondimento presuppone la conoscenza dei contenuti presentati nel test culturale relativo a questa pratica]
Le diverse tipologie dei trattamenti dei corpi dei defunti affrontano tutte l’inevitabile processo di disgregazione dei corpi.

- Evitamento: cremazione o cannibalismo funebre
- Accelerazione: esposizione o abbandono rituale
- Dissimulazione: sepoltura
- Rallentamento: imbalsamazione temporanea, tanatoprassi
- Bloccaggio: mummificazione, criogenizzazione
 
Partendo da questo schema, bisogna però tenere in considerazione che le scelte compiute in materia di trattamento di cadaveri non sono quasi mai esclusive, all’interno di una società: possono infatti coesistere diverse forme di trattamento dei corpi, come ad esempio in Italia, (dove troviamo una minoranza che sceglie la cremazione, intorno al 30%, parallelamente alla maggioranza che sceglie l’inumazione), così come il trattamento può variare a seconda del rango e della posizione sociale del defunto.
Senza allontanarsi troppo dal contesto italiano, in paesi come Olanda e Gran Bretagna troviamo ad esempio la cremazione come metodo maggiormente scelto, o negli Stati Uniti dove la maggior parte della popolazione sceglie una parziale imbalsamazione, prima della sepoltura.
Un ulteriore esempio di coesistenza di diverse tipologie di trattamento dei cadaveri riguarda i riti tradizionali tibetani, che prevedono la cremazione, la sepoltura, l’immersione o lo smembramento dei cadaveri, dati in pasto ad animali. I capi religiosi, invece, venivano mummificati, con il fine di diventare oggetto di devozione.
 
Rientrano nella categoria dell’evitamento della putrefazione dei corpi la cremazione e il cannibalismo funebre. Con cremazione intendiamo l’atto di bruciare il corpo. Troviamo tracce di cremazioni rituali già a partire dal Paleolitico, nella Grecia antica e nell’antica Roma, a partire dal 750 a.C.
Anche a livello geografico la cremazione è una pratica piuttosto diffusa, con società che la praticano in tutti i continenti.
In occidente, la pratica della cremazione ha subito un’inversione di significato: a causa dell’influenza del cristianesimo e della dottrina della resurrezione, infatti, la cremazione fu per lungo tempo praticata esclusivamente con fini negativi, solamente per categorie di individui nemici della cristianità. È soltanto a partire dalla fine dell’800 che la cremazione inizia a diffondersi, anche a causa di problemi di spazio e di questioni legate all’igiene, in città sempre più affollate.
 
Il cannibalismo funebre, per quanto ci possa apparire una pratica quantomeno strana, rientra nella categoria dell’evitamento della putrefazione dei corpi. Un esempio ci viene fornito dai Warì, piccola popolazione che vive nell’area amazzonica in Brasile, al confine con la Bolivia. Questo popolo, infatti, fino al 1960, mangiava buona parte dei corpi dei morti: tale comportamento veniva visto come il modo più rispettoso di trattare i propri morti, onde evitare il collocamento dei defunti nella terra, alla mercé degli animali. Ai Warì venne poi proibito di praticare questi rituali funebri da parte della Chiesa Cattolica e dalle autorità statali.
Adriano Favole (2003), antropologo, propone una possibile spiegazione:
“La spiegazione più plausibile del cannibalismo Warì va […] rintracciata nella complessa rappresentazione del corpo che questo gruppo ha elaborato: i Warì esprimono infatti con particolare pregnanza l’idea che il corpo sia una costruzione bio-culturale. Essi vedono il corpo umano come un nesso di parentela, personalità e relazioni sociali. La parentela è definita fisicamente come condivisione di sostanze corporee […]. Mangiando i defunti, i Warì riaffermano il carattere culturale dei corpi e si riappropriano di quelle relazioni sociali di cui essi sono (letteralmente) costituiti.
Lasciare che i corpi siano disgregati dai processi biologici della putrefazione equivarrebbe a una sorta di rifiuto del cadavere ovvero negare l’umanità che è loro intrinseca (Favole, 2003, p.58)”.
 

 
Per quanto riguarda la categoria dell’accelerazione della decomposizione dei corpi, troviamo l’esposizione, o abbandono rituale. Con esposizione intendiamo l’affidamento del corpo del defunto ad agenti atmosferici o animali. Si tratta però di un atto rituale per cui vi è un controllo sociale della pratica, con il conseguente recupero dei resti, e quindi non deve essere inteso come un modo per disinteressarsi dei propri morti.
Uno degli esempi più famosi di abbandono rituale del cadavere, inteso come corpo esposto, è rilevabile presso i Parsi o Zoroastriani, un gruppo religioso particolarmente diffuso in India, per il cui cadavere è ritenuto fortemente contaminante. Per questo motivo, tali popoli iniziarono a costruire le cosiddette “Torri del silenzio”, o dahkma, ovvero delle piattaforme sollevate da terra dove deporre i cadaveri, che ben presto divenivano preda degli avvoltoi. Con il progressivo inurbamento, a partire dal XX secolo, per i fedeli di questa religione diventò sempre più difficile portare avanti questa pratica funebre, fino all’abbandono e alla successiva scelta tra sepoltura o cremazione.
 

Hindu Funeral
Hindu funeral
Hindu Funeral. A picture of Final farewell of the corpse and going for the 16th Ritual called Agni Sanskar- Photo by See page for author, Public domain, via Wikimedia Commons
Tower of Silence, Yazd
Tower of Silence, Yazd 10
Tower of Silence, Yazd - Photo by Bernard Gagnon, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
One of the most famous examples of ritual abandonment of the corpse, understood as an exposed body, can be found among the Parsis or Zoroastrians, a religious group particularly widespread in India, who consider human corpses to be highly contaminating. For this reason, these peoples began to build so-called 'Towers of Silence', or dahkma, or platforms raised from the ground where they could lay their corpses, which soon became prey for vultures. With progressive urbanisation, from the 20th century onwards, it became increasingly difficult for the adherents of this religion to carry on this funeral practice, until it was abandoned and the subsequent choice between burial or cremation was made.
Con inumazione intendiamo qui tutte quelle pratiche di trattamento del cadavere che hanno l’obbiettivo di dissimulare/consentire la putrefazione. Tale termine ha ovviamente un’importante ampiezza semantica, sia per quanto riguarda i luoghi di sepoltura, che possono essere la terra, così come radici di alberi, grotte, acqua ecc., che per quanto riguarda la varietà dei contenitori del corpo, ovvero lenzuola, pelli, stoffe, bare e sarcofagi, ecc.
La categoria della “sepoltura” comprende quindi pratiche molto differenti tra loro, accomunate però dalla dissimulazione della putrefazione dei corpi, che viene quindi “consentita” e non evitata o accelerata.
Le tombe, o comunque in generale i luoghi di sepoltura dei morti, segnano un luogo di aggregazione molto importante:
 
“Le sepolture – i luoghi dei morti – strutturano il mondo dei vivi: finché la memoria di quell’antenato verrà conservata il gruppo manterrà una sua compattezza e unitarietà. Quando questa verrà meno, l’identità dell’antenato andrà a dissolversi in quella di un fondatore di un nuovo gruppo e di una nuova tomba (Favole, 2003, p. 66)”.
 
Quello che emerge, quindi, è che, nelle diverse società, l’organizzazione del mondo dei morti incide fortemente sull’organizzazione del mondo dei vivi, facendo sì che vi sia un legame territoriale che forma e modella le identità sociali.
 
Infine, le ultime categorie riscontrabili sono il rallentamento e il bloccaggio. Con rallentamento intendiamo tutte quelle forme che prevedono interventi sui cadaveri con il fine di preservare l’integrità del corpo, almeno per il periodo del rito funebre. Esempio di questa pratica è la tanatoprassi, ovvero un trattamento delle cavità interne del defunto con liquidi antisettici e l’utilizzo di cosmetici per il trattamento del viso, diffuso soprattutto negli Stati Uniti, in Francia meridionale e in Spagna. L’obbiettivo di questa pratica è quello di permettere l’esposizione del corpo per il periodo piuttosto lungo della veglia funebre, seguita poi dall’inumazione.
Con il termine bloccaggio si intendono invece tutti quegli interventi che hanno l’obbiettivo di preservare il corpo del defunto per un periodo indefinito, come ad esempio la mummificazione e la criogenizzazione, ovvero una pratica (diffusa negli Stati Uniti) di conservazione dei corpi che prevede la progressiva ibernazione del cadavere e la sua conservazione a temperature di –160 gradi, con la speranza che in futuro i progressi della biomedicina possano consentire di riportare in vita il defunto.
Il cannibalismo funebre, per quanto ci possa apparire una pratica quantomeno strana, rientra nella categoria dell’evitamento della putrefazione dei corpi. Un esempio ci viene fornito dai Warì, piccola popolazione che vive nell’area amazzonica in Brasile, al confine con la Bolivia. Questo popolo, infatti, fino al 1960, mangiava buona parte dei corpi dei morti: tale comportamento veniva visto come il modo più rispettoso di trattare i propri morti, onde evitare il collocamento dei defunti nella terra, alla mercé degli animali. Ai Warì venne poi proibito di praticare questi rituali funebri da parte della Chiesa Cattolica e dalle autorità statali.
Adriano Favole (2003), antropologo, propone una possibile spiegazione:
“La spiegazione più plausibile del cannibalismo Warì va […] rintracciata nella complessa rappresentazione del corpo che questo gruppo ha elaborato: i Warì esprimono infatti con particolare pregnanza l’idea che il corpo sia una costruzione bio-culturale. Essi vedono il corpo umano come un nesso di parentela, personalità e relazioni sociali. La parentela è definita fisicamente come condivisione di sostanze corporee […]. Mangiando i defunti, i Warì riaffermano il carattere culturale dei corpi e si riappropriano di quelle relazioni sociali di cui essi sono (letteralmente) costituiti.
Lasciare che i corpi siano disgregati dai processi biologici della putrefazione            equivarrebbe a una sorta di rifiuto del cadavere ovvero negare l’umanità che è loro intrinseca (Favole, 2003, p.58)”.
 
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. Per questo motivo, tali popoli iniziarono a costruire le cosiddette “Torri del silenzio”, o dahkma, ovvero delle piattaforme sollevate da terra dove deporre i cadaveri, che ben presto divenivano preda degli avvoltoi. Con il progressivo inurbamento, a partire dal XX secolo, per i fedeli di questa religione diventò sempre più difficile portare avanti questa pratica funebre, fino all’abbandono e alla successiva scelta tra sepoltura o cremazione.
 
Con inumazione intendiamo qui tutte quelle pratiche di trattamento del cadavere che hanno l’obbiettivo di dissimulare/consentire la putrefazione. Tale termine ha ovviamente un’importante ampiezza semantica, sia per quanto riguarda i luoghi di sepoltura, che possono essere la terra, così come radici di alberi, grotte, acqua ecc., che per quanto riguarda la varietà dei contenitori del corpo, ovvero lenzuola, pelli, stoffe, bare e sarcofagi, ecc.
La categoria della “sepoltura” comprende quindi pratiche molto differenti tra loro, accomunate però dalla dissimulazione della putrefazione dei corpi, che viene quindi “consentita” e non evitata o accelerata.
Le tombe, o comunque in generale i luoghi di sepoltura dei morti, segnano un luogo di aggregazione molto importante:
 
“Le sepolture – i luoghi dei morti – strutturano il mondo dei vivi: finché la memoria di quell’antenato verrà conservata il gruppo manterrà una sua compattezza e unitarietà. Quando questa verrà meno, l’identità dell’antenato andrà a dissolversi in quella di un fondatore di un nuovo gruppo e di una nuova tomba (Favole, 2003, p. 66)”.
 
Quello che emerge, quindi, è che, nelle diverse società, l’organizzazione del mondo dei morti incide fortemente sull’organizzazione del mondo dei vivi, facendo sì che vi sia un legame territoriale che forma e modella le identità sociali.
 
Infine, le ultime categorie riscontrabili sono il rallentamento e il bloccaggio. Con rallentamento intendiamo tutte quelle forme che prevedono interventi sui cadaveri con il fine di preservare l’integrità del corpo, almeno per il periodo del rito funebre. Esempio di questa pratica è la tanatoprassi, ovvero un trattamento delle cavità interne del defunto con liquidi antisettici e l’utilizzo di cosmetici per il trattamento del viso, diffuso soprattutto negli Stati Uniti, in Francia meridionale e in Spagna. L’obbiettivo di questa pratica è quello di permettere l’esposizione del corpo per il periodo piuttosto lungo della veglia funebre, seguita poi dall’inumazione.
Con il termine bloccaggio si intendono invece tutti quegli interventi che hanno l’obbiettivo di preservare il corpo del defunto per un periodo indefinito, come ad esempio la mummificazione e la criogenizzazione, ovvero una pratica (diffusa negli Stati Uniti) di conservazione dei corpi che prevede la progressiva ibernazione del cadavere e la sua conservazione a temperature di –160 gradi, con la speranza che in futuro i progressi della biomedicina possano consentire di riportare in vita il defunto.

Rito funebre musulmano
Il corpo deve essere lavato con acqua calda, per essere purificato, e successivamente avvolto in un panno, il kafan (termine che viene utilizzato per descrivere anche l’intera operazione), ovvero un lenzuolo bianco di cotone senza cuciture.
Vi è poi un momento di preghiera collettiva, nella casa del defunto o in moschea, seguito dal momento dell’inumazione nella terra (dafin). La cerimonia deve essere semplice, evitando l’ostentazione, e i presenti gettano 3 manciate di terra sul corpo del defunto, che ha il capo rivolto verso la Mecca. Generalmente, viene poi raccomandato un banchetto funebre, durante il quale vengono recitati i passi del Corano.
Il rito funebre islamico proibisce la cremazione in maniera inderogabile, in quanto considerata come contraria alla dignità della persona.
 
Durante la pandemia Covid-19,
 
“La chiusura delle frontiere ha reso impossibile il trasporto delle salme dei musulmani di origine straniera nel paese di provenienza, pratica diffusa soprattutto fra i residenti             in Francia e in Italia. Costretti a organizzare i funerali nel paese di residenza, i musulmani devono affrontare il problema della mancanza di spazi dedicati a loro nei cimiteri italiani e francesi.
Prima della crisi dovuta all’epidemia di COVID-19, in Italia solo una cinquantina di comuni – sui quasi 8mila esistenti – avevano un cimitero musulmano, ha detto il presidente dell’UCOII Yassine Lafram al Post (Il Post, 2020).”
 
La pandemia ha quindi riportato alla luce una problematica in realtà preesistente, ovvero la scarsità di cimiteri musulmani dove i fedeli possano seppellire i propri cari. Se è vero che molti immigrati musulmani di prima generazione scelgono il rimpatrio della salma, bisogna però riflettere sulla volontà di persone residenti in Italia da più tempo, magari immigrati di seconda e terza generazione o semplicemente cittadini di fede musulmana che non hanno origini straniere, che quindi non hanno a disposizione un luogo sacro di sepoltura per i propri cari. È inoltre importante tenere in considerazione che, per la religione musulmana, è importante organizzare il funerale nel più breve tempo possibile, in quanto l’attesa per la sepoltura va contro la dignità del defunto, ed essere sepolti in mezzo a persone appartenenti alla stessa fede religiosa.

L’evoluzione della morte in occidente 
Nel classico lavoro dello storico Philippe Ariès, L’uomo e la morte dal medioevo ad oggi (Ariès, 1980) viene illustrata la trasformazione del rapporto con la morte in Occidente. L’opera si rivela di particolare interesse per fornire ai giudici uno sguardo diacronico su come l’Occidente ha vissuto la morte e le connesse pratiche di lutto, sepoltura e culto dei morti, e trovare similitudini con pratiche tutt’oggi invalse presso alcuni gruppi. Tra gli aspetti utili allo iuris dicere si segnalano: il fatto che la morte per lungo tempo avesse una dimensione pubblica, nel senso che era comune esporre il moribondo alla comunità, alle visite di tutto il paese, bambini inclusi che erano interamente coinvolti nelle fasi del lutto, sepoltura e successivo culto dei morti; era aborrita la morte improvvisa e inconsapevole in quanto il soggetto doveva avere il tempo di pentirsi e di confessarsi, così come era d’obbligo l’inumazione in quanto il corpo era ritenuto dormiente fino alla risurrezione dei corpi, ragion per cui altre pratiche quali la cremazione era considerate disdicevoli; i cimiteri erano luoghi inclusi nelle città, dove si svolgevano anche attività dei vivi quali mercati e persino feste (Ariès rileva come il modello delle piazze chiuse spagnole nasca proprio dagli ossari cimiteriale che circondavano uno spazio dove si svolgeva un mercato). Ariès individua un momento di cesura nella decisione da parte di Napoleone di emanare l’Editto di Saint Cloud, Décret Impérial sur les Sépultures, che impose che i cimiteri, fino ad allora dentro le chiese o in piazze cittadine, venissero costruiti fuori della cerchia muraria in zone arieggiate. Che tale norma abbia prodotto una forte cesura culturale rispetto a pratiche precedenti è ben dimostrato dall’opposizione che esso suscitò in Italia, anche da parte delle elites culturali. Si ricorda, al proposito che I sepolcri di Ugo Foscolo furono scritti proprio per contestare il dislocamento dei cimiteri dal centro delle città e dalle chiese, in aree extra urbane, profilo che, secondo Foscolo, avrebbe compromesso il culto dei morti e l’ispirazione a grandi gesta che questo culto alimenta nei cittadini.
Ariès evidenzia un progressivo processo di allontanamento e rimozione della morte, che viene sempre più relegata (dalla casa aperta a tutti i vicini, alla casa con i soli parenti, all’ospedale). Mutatis mutandis, le tendenze di alcuni gruppi culturali a vivere il sepolcro come un luogo di comunione con il defunto con modalità che vanno oltre il portare i fiori e che includono anche danze, banchetti, festeggiamenti, potrebbero essere meglio comprese considerando come, presso questi gruppi, non si è verificato quel processo di allontanamento della morte dalla vita che secondo Ariès è avvenuto in occidente.
 
 


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